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Un corso di formazione umana per il sacerdozio e la vita consacrata inaugurato al Camillianum con una "lectio magistralis" del cardinale Mauro Piacenza

ROMA, lunedì, 21 novembre 2011.- Il riconoscimento, anche da parte del Magistero Pontificio, come fenomeno ampio e preoccupante di una crisi profonda di formazione umana nel cammino sacerdotale e della vita consacrata rende quanto mai urgente e affascinante la proposta di un corso che permetta l’approfondimento della dignità umana e degli itinerari da seguire per far emergere le risorse straordinarie della persona, al fine di favorire l’individuazione delle migliori risposte all’attuale “emergenza educativa” e riconoscere la pluridimensionalità dell’esistenza umana in una chiara prospettiva sia personale che pastorale.

L’iniziativa, presa dalla Fondazione “Ut vitam habeant”, di cui è presidente il Card. Elio Sgreccia, e attivata in collaborazione con l’Istituto internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria “Camillianum”, ha avuto inizio lunedì 21 novembre con una lectio magistralis del Card. Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero, il quale ha riconosciuto che «il deficit di formazione umana non riguarda, ovviamente, le sole realtà ecclesiali; anzi, ad essere sinceri, esso è ben più ampio, radicato, promosso nel mondo, e i suoi effetti, visibili a tutti, hanno e avranno gravi conseguenze antropologiche, sociali e perfino teologiche, di rilevante portata».

Diverse sono le radici storiche e filosofiche di una tale crisi di formazione umana: un primo elemento è stato individuato dal Card. Piacenza nel «movimento illuminista, che ha determinato una ipertrofia della ragione, in conseguenza della quale l’uomo e la sua capacità di conoscenza si sono trasformati da “contemplatori, conoscitori e cantori” della realtà a “limitata misura” del reale».
Non diversamente va evidenziato l’idealismo secondo il quale, «se l’uomo non conosce più la realtà per ciò che essa è, ma tenta di misurarla (razionalismo) o solo di pensarla (idealismo), egli si auto-confina in una oggettiva possibilità di rapportarsi con altro-da-se-stesso e tale atteggiamento ha evidenti conseguenze antropologiche». E, come se ciò non bastasse, va anche riconosciuto che «la crisi del positivismo ottocentesco, determinata dai due conflitti mondiali del secolo scorso, ha portato a una sorta di “resa della ragione”, facendo passare l’uomo dal mito infondato del super-uomo alla situazione attuale, altrettanto infondata, del più radicale relativismo».

La conseguenza di una «scorretta e ingiustificata sfiducia nella reale capacità di ciascuno di conoscere se stesso, il mondo e Dio» è sembrata al Card. Piacenza essersi tradotta nel «dirompente edonismo, narcisismo, pansessualismo, nel quale si smarriscono gli uomini del nostro tempo e dal quale è necessario, con ogni mezzo, aiutarli a sottrarsi» per evitare che si rafforzi la terribile fuga dall’umana spiritualità e dalla fede cristiana.

Ecco perché ha evidenziato nell’uomo in quanto tale e nell’Uomo-Dio Gesù di Nazareth i due poli, i protagonisti e i luoghi teologici da individuare e approfondire per trovare la giusta risposta alla crisi esistenziale che caratterizza la formazione umana contemporanea.
«Ogni uomo, qualunque sia la sua condizione e qualunque sia l’epoca in cui vive, si auto-percepisce ed è percepito dagli altri come “bisogno” e come “domanda”. E se tutta la cultura dominante congiura a soffocare le domande fondamentali che costituiscono l’uomo, non è perché esse non siano gravide di significato e non esigano una risposta ma, semplicemente, perché, incapace di offrire risposte umanamente percepibili e soddisfacenti, la cultura dominante non ha altra possibilità, non ha altra “via di fuga”, che quella di soffocare le domande».

Ciò vuol dire riconoscere che la giustizia, la verità, la bellezza, la ragionevolezza e la libertà «sono valori umani universali, e non confessionali, perché sono, antecedentemente, dal punto di vista sia ontologico che pedagogico, esigenze fondamentali dell’uomo». Così come è quanto mai indispensabile accettare che il senso religioso umano è «una caratteristica antropologica universale e insuperabile», che permette alla persona di individuare il senso ultimo della totalità, quindi di se stessa e del reale. E poiché nell’attività pastorale i sacerdoti e i religiosi si trovano continuamente a confronto con uomini e donne che avvertono vibrante la domanda sul senso della vita, occorre che nel loro cammino di formazione approfondiscano la modalità esistenziale di condividerla fino in fondo e di aiutare a individuare una risposta che, pur se caratterizzata dall’orizzonte teologico, sia soprattutto «rinvigorita, rafforzata e rilanciata da un’autentica passione per l’uomo».

Approfondendo come secondo polo della formazione umana l’Evento-Cristo nella sua propria e irriducibile dimensione storica, il Card. Piacenza ha ribadito che «la fedeltà al dato storico esclude ogni auto-referenzialità soggettiva, intimistica o auto-proiettiva nel rapporto con Cristo e risulta radicalmente incompatibile con ogni concezione idealista e relativista, che affermi l’impossibilità dell’uomo di conoscere la realtà», per cui si può «affermare che la risposta a ciò che l’uomo è, che non è dentro di lui, si è resa incontrabile, ci è venuta incontro, si è rivelata in quello che era l’ambito più prossimo all’uomo: l’uomo stesso».

Concretamente ciò vuol dire riconoscere e affermare, da una parte, che il senso religioso autenticamente vissuto rappresenta e costituisce un fattore fondamentale di formazione umana e, dall’altra, che l’incontro con Cristo, determinando il risvegliarsi dell’umanità, diviene «il primo fattore educativo dell’umano, proprio perché lo educa a stare in quella posizione di grato stupore, tipica del senso religioso, che costituisce l’essenza dell’uomo di fronte a Dio».

E poiché tale percezione consente di riconoscere come originale e autentica vocazione l’essere immagine e somiglianza di Dio, per il Card. Piacenza coloro che sono «chiamati a vivere il carisma della castità per il Regno dei Cieli, sia nella vita consacrata, sia nel ministero sacerdotale, è necessario che si pongano, in maniera autentica, in ascolto di ciò che il carisma ricevuto dice al personale cammino di formazione umana», il che vuol dire che «la distinzione tra formazione umana, professione di fede e vita sacerdotale e religiosa, pur se didatticamente fondata, è esistenzialmente sempre da integrare».

L’accoglienza del carisma della castità si colloca, quindi, nell’ottica di viva domanda esistenziale e di vivificante risposta incontrata in Gesù di Nazareth Signore e Cristo e comporta la testimonianza, anche in vista di una rinnovata azione evangelizzatrice e di un’autentica pastorale vocazionale, che, «insieme al dono della vocazione, il Signore dona una rinnovata umanità, ci chiama, ci plasma, ci rende capaci di accogliere un dono nuovo. Lavorare per la propria formazione umana, allora, non è una premessa per poi poter lavorare sulla fede, sulla vocazione e sulla fedeltà ad essa (anche nella dimensione del celibato e della castità consacrata), ma è l’opera di Dio, compiuta dalla Sua grazia, nella nostra umanità, che progressivamente si dilata, nella misura in cui la libertà accoglie il dono della chiamata e vive alla Presenza del Mistero».

E leggendo una citazione di San Tommaso d’Aquino, secondo il quale «quando di due cose l’una è la ragione dell’altra, l’attenzione dell’anima verso l’una non impedisce né riduce la sua attenzione per l’altra. […] E poiché Dio viene contemplato dai Santi come la ragione di quanto essi compiono e conoscono, il loro interessamento per le cose sensibili o per le altre cose da considerare o da compiere, in nessun modo impedisce la loro contemplazione di Dio, né viceversa», il Card. Piacenza ha invitato i partecipanti al corso biennale, che è distribuito in tre settimane intensive all’anno di cinquanta ore ciascuna, di apprezzare il contributo che viene loro offerto così da interiorizzare e maturare un sano e permanente equilibrio grazie al quale riconoscere «il vero rapporto tra formazione umana e formazione al Sacerdozio e alla Vita consacrata», nella piena e realistica consapevolezza che «la formazione umana non impedisce né riduce l’attenzione a Cristo, che ne è la causa!» (di Eugenio Fizzotti - www.zenit.org)

 

 

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