Personaggi - beati

Beato Leopoldo de Alpandeire

Nel volgere di pochi mesi il nostro Ordine, si appresta a vivere una seconda beatificazione e sempre nella Penisola Iberica! È la volta di fr. Leopoldo da Alpandeire, un confratello vicino ai nostri tempi.

La sua vita non si distinse per opere strepitose, ma piuttosto per la semplicità e la fedeltà che metteva in tutto il suo fare. Di lui si può dire che fu in primo luogo un “uomo di Dio”, permeato del suo Spirito. Era frate questuante e per questo andava ogni giorno tra la gente. La sua non era una posizione di potere, bensì quella di uno che chiede e che lascia libero chi gli sta davanti. Chiedeva l’elemosina per il vivere dei frati, lasciava in cambio a chi gli dava, la serenità, la pace, i doni dello Spirito.

L’esercizio della questua, così come l’ha fatta fr. Leopoldo, è scomparsa del tutto o quasi nell’Ordine, è però necessario scoprire altre forme per essere presenti tra la gente come “minori”. “Soggetti a tutti gli uomini di questo mondo”, recita San Francesco nelle Lodi delle virtù, per offrire l’occasione di compiere un gesto di condivisione e offrire loro “la Sua pace” quella del Signore Gesù. Come? Coinvolgendoli nelle opere  di carità che molti nostri fratelli hanno iniziato, chiedendo loro che spendano un po’ del loro tempo nel fare e nel ricevere il bene. Dalla gratuità del donarsi non può che nascere il ringraziamento per quanto uno ha ricevuto.

Il beato Leopoldo fa parte di quella grande schiera di frati questuanti che hanno incarnato in minorità la domanda di chi cerca, la domanda del Buon Dio che cerca l’uomo perché gli vuol bene. Oggi l’umile questuante raggiunge la gloria degli altari, ne gioiamo e allo stesso tempo gli chiediamo di accompagnare chi cerca Dio, di accompagnare perché da frati minori cappuccini sappiamo essere aperti alla voce dello Spirito per vivere tra la gente in semplicità e senza nient’altro che la letizia e l’allegria di sapersi amati da Lui.

Nel centro della Serranía de Ronda si incontra Alpandeire, villaggio minuscolo, nascosto, come un nido nel cuore della montagna, una bellezza naturale. È la terra natia del nostro santo questuante cappuccino, mistico dell’umiltà e del nascondimento, dono di Dio all’umanità che cerca il suo destino.

I suoi genitori, Diego Márquez Ayala e Jerónima Sánchez Jiménez, erano contadini, semplici e laboriosi e, come la maggior parte della gente, lavoravano duro per rendere fertile quella terra rocciosa dalla quale trarre il sostentamento per la famiglia. Il 24 giugno 1864 nacque il primo figlio che il giorno 29 di giugno al fonte battesimale riceveva il nome di Francisco Tomás di San Giovanni Battista, il nostro fr. Leopoldo. Diego e Jerónima furono rallegrati dalla nascita di altri tre figli, Diego, Juan Miguel e Maria Teresa.

Nel calore dell’amore familiare, alimentato dalla pratica delle virtù cristiane, crebbe la buona semente cristiana di Francisco Tomás. Da suo padre apprese le buone maniere, i principi cristiani e la pratica del bene. Dalle labbra della mamma, imparò la preghiera. Allegro, giudizioso, di buona compagnia, lavoratore instancabile, Francisco Tomás incominciava la sua giornata assistendo alla Santa Messa e visitando il Santissimo Sacramento. Il suo condividere il poco che aveva e la sua bontà naturale, mai forzata, erano espressione di una profonda vita spirituale e di una forte esperienza di fede. Era “tutto cuore” soccorrendo i poveri, ci dicono le testimonianze di chi lo ha conosciuto. Si racconta che regalava i suoi attrezzi da contadino a chi ne aveva bisogno, o donava i soldi guadagnati con la vendemmia ai poveri che incontrava nel suo cammino verso casa.

Passò così nel lavoro dei campi e nella vita familiare i suoi primi 35 anni di vita “nascosta”. Intanto Dio lo andava modellando lentamente aspettando l’occasione per chiamarlo al suo servizio. E così nel 1894, ascoltando la predicazione dei cappuccini in occasione della festa che si stava preparando a Ronda per celebrare la beatificazione del cappuccino Diego da Cadice, il giovane Francisco Tomás, decise di abbracciare la vita religiosa facendosi cappuccino. “Chiedo di essere cappuccino come loro”. Attratto dalla “loro vita ritirata”.

Solo nel 1899 veniva accolto tra i cappuccini nel convento di Siviglia. Un mese dopo passava al noviziato accompagnato dal parere più che favorevole dei membri della comunità che ne lodavano il silenzio, l’impegno, la preghiera, la sua bontà. Per mano di fr. Diego de Valencina, Superiore e Maestro dei novizi, il 16 novembre dello stesso anno ricevette l’abito cappuccino ed il nome di fr. Leopoldo da Alpandeire.

La decisione di farsi cappuccino non richiese un cambiamento radicale di vita, già viveva una profonda ed intensa vita evangelica. Fr. Leopoldo lavorando nei campi e nell’orto del convento trasformava il suo umile lavoro in preghiera costante ed in generoso servizio. Il cambio di nome, commenterà anni più tardi, lo scosse “come un doccia di acqua fredda”, anche perché quel nome non era usuale tra i membri dell’Ordine. Il suo entrare in convento non era conseguenza della povertà, neppure un rifugio per un cuore affranto, ma manifestazione di quanto già vissuto e sentito vivo. L’esempio del beato Diego da Cadice lo aveva indotto a servire Dio con tutto se stesso fino all’immolazione.

Sapendolo contadino, a Siviglia lo incaricarono di aiutare il fratello ortolano. Nell’orto oltre alle verdure fr. Leopoldo coltivava anche i suoi doni spirituali. Chi lo conobbe afferma che la sua santa allegria era eguale alla sua profonda interiorità che i suoi occhi ed il suo volto non potevano nascondere. Ogni suo gesto, anche il più quotidiano e ripetuto, scaturiva infatti da una profonda comunione con Dio. Il novizio fr. Leopoldo sperimentò la gioia di aver risposto alla chiamata di Dio. Era certo: aveva 36 anni, però la giovinezza dello spirito non era un fatto solamente interiore, esplodeva in una visibile e gustabile allegria. L’esperienza del noviziato mise le basi del suo cammino spirituale, poiché il suo amore a Dio si andava accrescendo della conoscenza della tradizione e della spiritualità cappuccina.

Terminato il noviziato emise la prima professione, passando brevi periodi nei conventi di Siviglia, Granada e Antequera. Senza sosta, la zappa lo accompagnava come una fedele compagna mentre seguitava a coltivare l’orto dei frati. Imparava a trasformare il lavoro manuale ed il servizio ai fratelli in orazione. Fu un “contemplativo fra l’acqua dei canali di irrigazione, gli ortaggi, i frutti e i fiori per l’altare”.

Fu destinato al convento di Granada, per la prima volta, nel 1903 e sempre con l’ufficio di ortolano. Furono gli ultimi anni vissuti in assoluto ritiro tra i vecchi muri conventuali e l’orto. Anni di profonda esperienza spirituale e di silenzio. Nell’orto crebbe il suo dialogo con Dio ed insieme crebbero le sue virtù. Dall’orto passava alla cappella del Santissimo dove per lunghe notti stava in profonda adorazione. Nel vecchio convento di Granada il 23 di novembre dell’anno 1903, fr. Leopoldo emise i voti perpetui nelle mani di fr. Francisco de Mendieta, Superiore della casa. Era la sua consacrazione definitiva a Dio per la quale aveva vissuto e per la quale vivrà il resto della sua vita.

Dopo brevi soggiorni a Siviglia e a Anteguera, il 21 febbraio del 1914, raggiungerà nuovamente Granada per rimanervi per sempre. La città ai piedi della Sierra Nevada, sarà lo scenario di mezzo secolo della sua vita. Ortolano, sacrista e questuante, sempre unito a Dio e allo stesso tempo sempre vicino alla gente. L’ufficio di questuante sarà quello che lo definirà e lo caratterizzerà. Si era fatto religioso per vivere lontano dal “rumore del mondo”, fu lanciato dall’obbedienza a combattere la battaglia decisiva della sua vita tra le strade della città e le voci della gente. Da ora, e con passo spedito, le montagne, le valli, i cammini polverosi, le vie, saranno il suo chiostro e la sua chiesa. Fr. Leopoldo, come altri santi cappuccini segnati da una marcata inclinazione alla vita contemplativa, visse costantemente in contatto con la gente che invece di distrarlo, lo aiutò ad uscire da se stesso, a caricarsi del peso degli altri, a comprendere, ad aiutare, a servire, ad amare. Era, come ha detto un suo fervente devoto “distaccato, ma non distante”.

La sua figura fu così popolare nella città da essere da tutti riconosciuto. Soprattutto i bambini che al vederlo gridavano “Guarda, per di là viene fr. Nipordo”, e gli correvano incontro. Si fermava con loro spiegando qualche pagina di catechismo e con gli adulti per ascoltare i loro problemi e le loro preoccupazioni. Fr. Leopoldo aveva scoperto il modo per dispensare a tutti la bontà divina: recitare Tre Ave Maria. Era la sua formula per far intrecciare il divino nell’umano.

Per mezzo secolo, giorno dopo giorno, fr. Leopoldo percorse Granada distribuendo l’elemosina dell’amore, dando colore ai giorni tristi di molti, creando unità ed armonia, portando tutti ad incontrare Dio, dando dignità al fare di tutti i giorni. Ogni sua azione e ogni suo accostarsi alla gente era sempre nuova.

Non tutto fu però facile, ne senza difficoltà. Fr. Leopoldo infatti esercitò il suo essere questuante in un epoca nella quale in Spagna soffiavano venti anticlericali e quanto sapeva di religioso era mal visto se non perseguitato. Era il tempo delle “Due Spagne”, della Seconda Repubblica prima e della guerra civile poi. Settemila furono i religiosi e i sacerdoti uccisi per il semplice motivo di essere tali. Nel suo andare giornaliero alla questua fr. Leopoldo ebbe molto a soffrire e non poche volte fu insultato malamente: “ Fannullone, presto ti metteremo quel cordone al collo!”. “Vagabondo, gli gridavano, lavora invece di andare cercando l’elemosina!”. “Preparati che andiamo a tagliarti il collo!”. “ Sperimentò questo clima ostile e parafrasando il Vangelo, diceva: “Poveretti, non ho che da avere compassione di loro perché non sano quello che dicono!”.

C’era, mi domando, un qualche segreto nella vita del nostro fratello questuante? Sì, il segreto della sua vita era la sua orazione, la sua unione con Dio e il suo lavoro. Egli trasformava tutto in preghiera e la sua preghiera era il suo lavoro più prezioso. La sua vita non fu una vita di grandi gesti o di eventi particolari, tranne ciò che normalmente viene chiesto per chi abbraccia la vita religiosa.

La santità di fr. Leopoldo aveva come supporto l’umanità del vecchio Francisco Tomás. Egli mantenne l’identità del contadino di Alpandeire che già includeva il suo cammino di santità.

Fr. Pasquale Riwalski, già Ministro generale dell’Ordine, parlando di Lui disse: “È indubitabile che fr. Leopoldo incontrandolo affascina da subito per il suo essere semplice, naturale, senza artifizi, sincero e retto, evangelicamente povero. Un povero credente e candido, semplice e discreto, che ha saputo sempre mettersi in secondo piano, servendo nell’anonimato e nell’umiltà. Un uomo con un cuore da bambino, nobile e franco, cortese e sobrio, di contadino onesto… Un uomo estremamente riservato e modesto rispetto a tutto quello che di buono il Signore operava per suo mezzo, che si turbava davanti alle lode degli uomini, che gioiva per le umiliazioni e che manteneva una coscienza viva dei suoi limiti e dei suoi peccati. Spesso ripeteva. «Sono un grande peccatore». La vera scintilla evangelica è frutto della stima che abbiamo dei nostri simili e delle creature nella prospettiva di Dio. Fr. Leopoldo conosceva bene quel famoso detto di San Francesco: “poiché l’uomo quanto vale davanti a Dio, tanto vale e non più (Ammonizione 20)”.

Non era facile vedere i suoi occhi. Fr. Leopoldo, prese a modello San Felice da Cantalice, nel tenere gli occhi rivolti alla terra ed il cuore al cielo. Aveva occhi di bambino, puri e penetranti, sereni e limpidi. Trasmetteva serenità, purezza e dolcezza di cuore, frutto di una pace interiore che lo invadeva.

Aveva un particolare ascendente su tutti quelli che lo incontravano a causa della sua umiltà e disponibilità. La sua figura non era di quelle che colpiscono ed attraggono l’attenzione. Più che “andare tra la gente, fr. Leopoldo, passava tra la gente ”, più che guardare, vedeva nel cuore delle persone che lo cercavano.

Guardando alla sua vita possiamo dire che ha aderito al Vangelo di Cristo sine glossa seguendo l’esempio di San Francesco. Lo straordinario lo si incontra nella sua limpidezza, chiarezza, silenzio. In un clima di incertezza e di mancanza di riferimenti, la figura del Servo di Dio fr. Leopoldo si presenta come colui che con attenzione ha ascoltato la voce di Dio e si è lasciato trasformare ad immagine del Figlio Unigenito.

Un certo giorno, mentre, come al solito, raccoglieva l’elemosina della carità, aveva 89 anni, cadde a terra fratturandosi il femore. Ricoverato in un ospedale, fortunatamente senza operazione chirurgica, guarì. Dimesso ritornò al convento a piedi aiutato dal solo bastone, ma non fu più in grado di girare per le strade. Poté così dedicarsi totalmente a Dio, il grande amore della sua vita. Compreso in Dio, passò gli ultimi tre anni della sua vita, consumandosi a poco a poco “quale fiamma di amore”.

La fiammella si spense il 9 febbraio 1956. Aveva 92 anni. L’umile questuante delle Tre Ave Maria, si riunì al Signore. La notizia della sua morte corse per tutta la città di Granada commuovendola. Un fiume di gente di ogni età e condizione si incamminò verso il convento dei cappuccini. La fama di santità che già lo aveva accompagnato in vita, è cresciuta dopo la sua morte. Ogni giorno, ma soprattutto il 9 di ogni mese, un’insolita affluenza di gente da tutto il mondo visita la sua tomba. Molte sono le grazie che Dio concede per l’intercessione del suo servo fedele.

Benedetto XVI il 15 marzo del 2008 ha dichiarato l’eroicità delle sue virtù ed il 12 di settembre del 2010 sarà dichiarato Beato. (di Fr. Mauro Jöhri, Ministro generale OFMCap)

 

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