Giovani - Postnovizi e Studenti

Un accattivante pezzo di fra Luca che ben ci illustra le parole del vescovo Mons. Franco Montenegro.

Mascalucia (CT) – Le note dell’inno della Convocazione Fraterna, accompagnato dalle mani battenti dei frati a tenere il ritmo, hanno lanciato, dopo quella di ieri, la seconda tornata di video che hanno illustrato le immagini delle case formative d’Italia. L’aula magna è, a tratti, uno sventolio di brochure, a smorzare il caldo agostano che permea di sé l’ambiente; ma è l’aria condizionata che, alla fine, vince la battaglia contro le prime calure del mattino. Comincia così la conferenza di “don Franco”, come vuol essere chiamato mons. Francesco Montenegro, presbitero dal 1969 e vescovo di Agrigento dal 2008.

«Che Dio me la mandi buona! – esordisce il presule, forse senza sapere che il suo intervento sarebbe stato letteralmente osannato dai giovani frati, assetati di parole che si fanno vita da vivere e da trasmettere. E in effetti, pur nella serenità del tono, il discorso di mons. Montenegro non è andato molto per il sottile. Frasi come: «oggi non c’è spazio per la mediocrità»; «l’amore è rischio, non solo carezza»; «la chiesa deve avere un solo chiodo fisso: l’uomo» hanno decisamente colpito l’attenzione e il cuore della platea. «Perché il problema – spiega il vescovo di Agrigento – è il seguente: se Cristo, oggi, tornasse su questa terra che cosa troverebbe?». La sua risposta è stata lapidaria: «Troverebbe preti tristi e rassegnati alla mediocrità. Troverebbe una chiesa che, a volte, fa le cose soltanto perché deve farle. Ma la Chiesa di Dio – continua – è chiamata prima di tutto ad amare. E la logica dell’amore non è quella del calcolo, in cui due più due fa sempre quattro: l’amore è rischio, il rischio di chi, specialmente per voi che siete religiosi, ha accettato di vivere in trincea».

 

Gli sguardi dei frati si fanno sempre più fissi sulla persona e sulle parole di un vescovo formato alla mitezza caratteriale e alla fermezza dell’annuncio del Vangelo, un annuncio chiaramente plasmato dall’esperienza diretta della sofferenza, specialmente ora, in tempi di lacrime e di morti nei pressi dell’isola di Lampedusa. E il discorso di mons. Montenegro non accenna minimamente a calare d’intensità: «Cari frati, come vi siete messi nei guai facendo voto di seguire le orme di san Francesco! La vostra chiamata esige la passione di vivere per Dio, il Dio che si è a sua volta appassionato di questo mondo. Non fate come molti, che oggi, nella Chiesa, sono più giudici che innamorati, più preoccupati di consultare il codice di diritto canonico che il Vangelo di Cristo! Voi frati non avete soltanto una vocazione alla contemplazione – prosegue “don Franco” – ma avete la vocazione a vivere una “mistica dagli occhi aperti”, in cui soltanto una spiritualità forte, radicata nella vita dei poveri, consente di mantenere in vita il carisma del santo d’Assisi». Nota è infatti la sensibilità umana e cristiana di questo presule, che ha visto con i propri occhi le moltissime bare contenenti i naufraghi di Lampedusa e funestamente allineate in un macabro spettacolo che ha visto lacrimare perfino gli occhi di qualche poliziotto: «Confesso di avere avuto una crisi di fede davanti a tutti quei defunti e non me ne vergogno, perché non penso di essere un vescovo che cammina per aria, ma con i piedi ben piantati in terra. Quando vidi quel poliziotto piangere per la tragedia umana che gli si era parata davanti, in quel preciso momento ho pensato che anche Dio si era messo a piangere. È ora di smettere di annunciare il “dolce Gesù” che continua ad abitare in buona parte della nostra catechesi. Oppure di raccontare la storia della sua vita ai bambini perché si addormentino: Gesù non ha annunciato il vangelo per fare addormentare i bambini, ma per svegliare gli adulti. L’amore esige impegno, un impegno da cui non si può essere sfuggire neppure nascondendosi dietro la Liturgia. A volte noi uomini di chiesa ci barrichiamo dietro di essa, perché lì nessuno ci può toccare. Dico spesso ai preti che quando andiamo a confessarci, dovremmo accusare il peccato di furto, “il non rubare” che non va inteso in senso monetario o, comunque, materiale. Il peccato di furto è quello di chi, dal pulpito, sottrae lo spazio riservato alla parola di Dio per accusare chi vuole senza che questi possa difendersi». Le ultime battute di questa poderosa conferenza del vescovo di Agrigento sono riservate all’accento, a suo parere eccessivo, posto sulla presenza del Diavolo nell’ambito di certa catechesi: «Siamo così capaci di parlare di Diavolo che parliamo troppo poco della Pasqua. La Chiesa deve essere capace di coniugare il gesto sacramentale con quello dell’amore, l’amore del Cristo Risorto». Questa è la Chiesa che vorrebbe mons. Francesco Montenegro, per il suo gregge “don Franco”: una chiesa consapevole di sé, capace di parlare più d’amore che di peccato, una chiesa che rinunci a dare risposte ad ogni costo, «imparando, se è il caso, anche a tacere».

Conferenza tenuta da Mons. Franco Montenegro presso la Casa per Esercizi Spirituali dei Padri Passionisti in data 26/08/2014 durante la XV Convocazione Fraterna Nazionale dei frati postnovizi e studenti cappuccini italiani.

 

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