Personaggi - Vescovi italiani OFM Cap

di Mons. Paolo Martinelli

La misericordia che rigenera l'umano

Papa Francesco durante il suo primo Angelus, commentando il brano evangelico della donna adultera (Gv 8,1-11), ha richiamato tutti al mistero della misericordia di Dio: «Lui mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono […] Lui è il Padre amoroso che sempre perdona, che ha quel cuore di misericordia per tutti noi. E anche noi impariamo ad essere misericordiosi con tutti».

In queste espressioni, semplici e profondissime, si trova anche la radice dell’esperienza cristiana di Francesco d’Assisi. Alcuni suoi scritti e numerose agiografie mettono in evidenza come la sua vicenda personale sia caratterizzata proprio dalla scoperta della misericordia di Dio verso di sé che apre all’essere a propria volta misericordiosi. Nel suo Testamento, dove Francesco rilegge tutta la sua vita, ormai giunto al termine dei suoi giorni, riconosce l’origine del suo percorso: «quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia». Egli incontra una realtà che gli è data, davanti alla quale conosceva solo la fuga a causa del suo “essere nei peccati”, mentre nella fede impara ad accoglierla, ad “usare misericordia”. Quella persona ferita diventa per Francesco segno nel quale il mistero di Dio lo raggiunge. Da qui il Santo di Assisi inizia il suo cammino, in cui riconosce il perdono di Dio per i propri peccati ed impara ad essere misericordioso. Questo sguardo determinerà san Francesco in tutti i suoi rapporti.

Nella sua Lettera ad un Ministro, ossia ad un responsabile del suo Ordine, che presumibilmente voleva lasciare l’incarico a causa dei problemi che doveva affrontare quotidianamente, Francesco lo invita ad accogliere quella realtà che sembra disturbarlo dal suo personale rapporto con Dio: «quelle cose che ti impediscono di amare il Signore Iddio, e ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri, anche se ti percuotessero, tutto questo devi ritenere come una grazia». Vale a dire: il rapporto con Dio passa attraverso il dramma della vita quotidiana e non nella nostra fantasia religiosa. Per questo aggiunge: «E questo tieni per te in conto di vera obbedienza [da parte] del Signore Iddio e mia, perché io so con certezza che questa è vera obbedienza». Si obbedisce a Dio quando si accetta il rischio dell’impatto quotidiano con il reale in cui il Mistero tocca la nostra libertà.

Francesco poi aggiunge: «E ama coloro che ti fanno queste cose […] e non pretendere che siano cristiani migliori». A noi è difficile capire oggi che cosa voglia dire stare di fronte all’altro senza pretendere che sia “migliore”, tanto il nostro cristianesimo è ridotto moralisticamente. Ma è proprio così, poiché la vita cambia quando la si accoglie come è e non perché la si piega ad un proprio pregiudizio.

Ma l’indicazione più dirompente la troviamo nel passo successivo in cui l’Assisiate scrive a questo ministro come comportarsi di fronte ai frati che commettono peccato: «E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me servo suo e tuo, se farai questo, e cioè: che non ci sia mai alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo chiede; e se non chiedesse misericordia, chiedi tu a lui se vuole misericordia. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli».

Francesco d’Assisi guarda l’altro con il perdono di Dio negli occhi e nel cuore. La misericordia appare qui il principio che rigenera continuamente l’umano, vincendo indomabilmente tutte le resistenze. Questa è infondo la consapevolezza che Francesco d’Assisi ha sperimentato lungo il suo cammino: essere un peccatore perdonato, divenendo segno della misericordia di Dio. Questa realtà è bene espressa da un noto passaggio dei Fioretti, in cui frate Masseo di fronte al suo “successo” esclama: «Perché a te tutto il mondo viene dirieto, e ogni persona pare che desideri di vederti e d’udirti e d’ubbidirti? Tu non se’ bello uomo del corpo, tu non se’ di grande scienza, tu non se’ nobile onde dunque a te che tutto il mondo ti venga dietro?».

Ecco la risposta di Francesco: perché gli occhi di Dio «non hanno veduto fra li peccatori nessuno più vile, né più insufficiente, né più grande peccatore di me […] perciò ha eletto me per confondere la nobiltà e la grandigia e la fortezza e bellezza e sapienza del mondo, acciò che si conosca ch’ogni virtù e ogni bene è da lui, e non dalla creatura, e nessuna persona si possa gloriare nel cospetto suo».

Egli ha sperimentato così la misericordia divina e l’elezione di Dio ad essere segno della sua grazia. Questo richiama alla mente il moto scelto, non a caso, da Papa Francesco, in riferimento all’incontro tra Gesù e Matteo: «Miserando atque eligendo», guardandolo con misericordia lo scelse. Questo è il mistero della misericordia che confonde il mondo nella sua presunzione.

 

pubblicato su L'Osservatore Romano di sabato 3 ottobre 2015 a pagina 4

 

Questo sito fa uso di cookie per migliorare l’esperienza di navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’utilizzo del sito stesso. Può conoscere i dettagli consultando la nostra privacy policy qui. Proseguendo nella navigazione si accetta l’uso dei cookie; in caso contrario è possibile abbandonare il sito.index.php">privacy policy.

-
EU Cookie Directive plugin by www.channeldigital.co.uk