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E siamo così al Convento che insieme a quelli di San Silvestro, a Montecompatri, e Camaldoli, presso Monte Porzio, completa la triade dei complessi religiosi patrocinati dai papi della Controriforma ad edificazione della terra tuscolana. Fu il Consiglio Comunale di Frascati a volere nel 1571 l'insediamento di una comunità di Cappuccini, con relativa delibera due anni dopo. Ne favorì la fondazione il papa Gregorio XIII Boncompagni che, dati i frequenti soggiorni a Frascati con tutta la corte, aveva fatto del paese la capitale estiva dello Stato della Chiesa. Volle che il Convento, pur nella irrinunciabile umiltà, fosse per altro degno di inserirsi nella prestigiosa fascia delle ville gentilizie: costituisce infatti uno dei primi esempi, se non il primo, di "villa-convento" dotato come è di un giardino ripartito da vialetti regolari e concluso da tre cappelline con stucchi ed affreschi: per questo il Convento appartiene alla storia delle dodici grandi ville tuscolane. Il complesso dei fabbricati mutò aspetto all'inizio del'700 quando fu aggiunta la parte verso Frascati.

Lavori di ammodernamento furono eseguiti alla metà dell'Ottocento ed infine nel 1911 se ne aumentò ulteriormente la capienza erigendo a monte il cosiddetto "collegio".

La Chiesa, consacrata l'11 ottobre del 1578, è invece sostanzialmente quella  che vediamo ancor oggi, a parte l'aggiunta delle due cappelline laterali. E' ad una sola navata e conserva rilevati opere d'arte. All'altar maggiore vi è una pala col Crocifisso tra i Santi Francesco e Antonio da Padova, opera del bresciano Girolamo Muziano (1528 o 1532-1592): pittore influenzato dalla monumentalità di Michelangelo e dai colori di Sebastiano del Piombo, notevole per l'ariosità e la suggestione dei paesaggi di ascendenza veneta e fiamminga e per il carattere pietistico delle rappresentazioni, consono alla religiosità della Controriforma. Dello stesso autore, o quantomeno della sua cerchia, è, nella cappella a sinistra, un "San Francesco che riceve le stimmate". L'altare di destra presenta una pala con "Madonna con Bambino e Santi" copia da un originale di Giulio Romano in Santa Maria dell'anima a Roma. Le cappelle sono ornate con stemmi in legno dei Boncompagni.

Le altre decorazioni della chiesa, già attribuite al Pomarancio, sono invece di Cesare Nebbia, allievo del Muziano. Spiccano i quattro Evangelisti alle pareti della chiesa, policromi, e sotto ad essi sono rappresentati in monocromia episodi collegati a ciascun Evangelista. A sinistra, sotto San Luca, il Santo che ritrae la Madonna; sotto San Giovanni, resurrezione di Dusriana. A destra, sotto San Marco, liberazione del soldato; infine, sotto San Matteo, la resurrezione di Epigenia. I due ovali ai lati dell'altar maggiore rappresentano due santi Cappuccini, S. Fedele da Sigmaringa e il Beato Serafino da Montegranaro effigiati da Pier Leone Ghezzi (1674-1755), uno dei protagonisti dell'ancor poco approfondito Settecento pittorico romano. Prima di lasciare la Chiesa ricordiamo che vi sono conservate le spoglie del Card. Guglielmo Massaia, alla cui memoria fu dedicata la statua, dovuta a Cesare Aureli, il 9 ottobre 1892. Entriamo ora nel giardino alla cui "ideologia"abbiamo già accennato. Esso poggia su gigantesche sostruzioni ed appare scenograficamente aperto verso il fantastico panorama che si dilata a perdita d'occhio, dal Mar Tirreno all'Appennino, mostrandoci i rilievi dei Monti della Tolfa, Sabatini, Cimini ed il solitario, oraziano Soratte: splendida quinta che fa da sfondo a Roma ed alla sua pianura. Tra la fitta grana dell'abitato, a cominciare dai sobborghi ai piedi di Frascati, fino alla dorsale di Monte Mario distinguiamo, se tempo e visibilità sono propizi, monumenti, palazzi, campanili, cupole, rovine, torri. Alle cappelline in fondo al giardino si è già accennato: quella centrale rappresenta la Resurrezione e fu voluta da Mons. Bianchetti, maestro di camera di Gregorio XIII.  Verso monte appaiono cospicui resti d'età classica: sostruzioni, un alto muro contraffortato con paramento in opera incerta, una cisterna; all'interno dell'edificio, una stanza rivestita in opera reticolata con resti di pavimento originale. Siamo in presenza di una grande villa romana, che si estendeva anche alla soprastante Villa Tuscolana o Rufinella. A quale personaggio apparteneva? Una serie di indizi fanno propendere per una attribuzione prestigiosa ed affascinante: a Marco Tullio Cicerone.

Si tratterebbe quindi del celeberrimo Tullianum che il grande oratore circondò di cure addirittura maniacali, come si evince dal copioso epistolario all'amico Attico. Qui egli ambientò le Tusculanae Disputationes, uno dei vertici del pensiero e della spiritualità dell'Occidente. A suffragare questa ipotesi stanno alcuni dati: i ruderi appartengono al I sec. a.C.; nel muro di cinta del Convento, lungo il già citato sentiero per Tuscolo, vi era un'immagine della Madonna, carissima ai vecchi Frascatani e barbaramente distrutta alcuni anni fa, detta "Madonna di Turliano o Turniano", possibile alterazione appunto di Tullianum. Infine nel 1746 in occasione dei lavori della Villa Tuscolana, fu rinvenuto un bollo laterizio "a pianta di piede" verosimilmente d'età preaugustea col marchio "M. Tuli" che potrebbe riferirsi a M. Tullio Cicerone.

Per questi, e per altri motivi, l'identificazione della villa di Cicerone qui ai Cappuccini di Frascati, è quella che gode oggi di maggior credito.

Se testimonianze classiche e tesori d'arte rendono illustre il Convento, non meno lustro gli conferiscono memorie molto più vicine a noi nel tempo. Sono legate queste alla mitica figura del card. Guglielmo Massaia. Nato nel 1809 a Piovà d'Asti, oggi Piovà Massaia, venne consacrato a Roma nel 1846 e subito partì per l'Africa come vicario apostolico dei Galla. Tra inenarrabili difficoltà, cominciò così la sua missione di apostolato in Etiopia profondendovi  una prodigiosa energia a favore delle popolazioni locali e non soltanto sul piano dell'evangelizzazione.

Formò tra l'altro il clero cattolico locale e delineò i principi dell'apostolato missionario nella Magna Charta di Assandabo (1854). Scrisse una grammatica amarica, contribuendo alla conoscenza di luoghi che di lì a poco sarebbero diventati drammaticamente familiari agli italiani. Nella terza missione in Etiopia, 1867, divenne amico e consigliere del giovane Menelik, re dello Scioa, che divenuto imperatore trasferì la capitale,  col nome di Addis Abeba, proprio dove il Massaia aveva fondato una colonia agricola. Nel 1884 Leone XIII lo innalzò alla porpora cardinalizia. A Frascati, nella serena pace del Convento, scrisse gran parte delle sue monumentali memorie: " I miei trantacinque anni di missione in Alta Etiopia", pubblicate in dodici volumi tra il 1885 ed il 1895.

Morì a San Giorgio a Cremano nel 1889.

Testi: Prof. Raimondo del Nero

 

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