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I protagonisti della rinascita artistica di Roma agli inizi del XVII secolo

Il 15 novembre è stata presentata a Roma, a Palazzo Venezia, la mostra "Roma al tempo di Caravaggio. 1600-1630" che sarà aperta al pubblico dal 16 novembre al 5 febbraio. Dal catalogo (Milano, Skira, 2011, pagine 408, euro 38) anticipiamo l'introduzione della curatrice.

Caravaggio è stato un genio assoluto che ha messo in ombra tutti gli artisti della sua epoca, ma chi erano i suoi compagni di strada? La mostra "Roma al tempo di Caravaggio 1600 - 1630" ricostruisce per la prima volta, attraverso circa centoquaranta opere, il tessuto connettivo culturale della Città eterna in cui visse e operò il grande genio lombardo.


In quegli anni così vivaci ed esaltanti in cui il papato cattolico celebrava, con l'anno santo 1600, la riconquista del suo predominio dopo la grande paura luterana, Roma, con le sue ricche committenze, diventava la capitale culturale d'Europa, popolandosi di migliaia di artisti provenienti non solo da tutta Italia (e Caravaggio era tra questi), ma anche dalle grandi nazioni del vecchio continente: Spagna, Francia, Germania, Fiandre, Paesi Bassi. Si creò qui una fucina irripetibile in cui artisti di formazione, lingua e cultura diverse lavorarono fianco a fianco scambiandosi soluzioni tecniche, stimoli, esperienze, modelli stilistici e iconografici; grazie a loro in pochi anni vennero spazzati via gli sterili e noiosi stereotipi tardo manieristi, e prese il via la più straordinaria rinascita artistica della Città eterna, i cui esiti saranno percepiti in tutta Europa fino alla fine del XVII secolo.

 

Questa mostra vuole raccontare questa storia ancora sconosciuta al grande pubblico e rendere giustizia e visibilità a quegli artisti che ebbero la sventura di vivere a Roma nei primi decenni del Seicento e che in tempi moderni sono stati letteralmente oscurati dalla incredibile popolarità raggiunta da Caravaggio. La mostra si apre con il confronto tra due giganti della pittura: il lombardo Caravaggio e il bolognese Annibale Carracci. Due protagonisti assoluti che svilupparono e perfezionarono in quegli anni i fondamenti - opposti - del loro modo di dipingere. Annibale elaborò una pittura classicista di ispirazione raffaellesca, basata sulla rappresentazione di una realtà idealizzata ed emendata da ogni crudezza; Caravaggio, dal canto suo, uno stile naturalistico impiantato sulla raffigurazione della realtà così come appare, senza alcuna idealizzazione. È questa una novità che non sembra azzardato definire rivoluzionaria. Esemplare per capire la differenza profonda tra i due sommi artisti è il confronto, inedito, tra due dei loro massimi capolavori, eseguiti negli stessi anni e raffiguranti lo stesso soggetto: la Madonna di Loreto. Un confronto che, da solo, vale più di mille parole per le differenza abissali che caratterizzano i due dipinti.

Caravaggio e Annibale morirono a un anno esatto l'uno dall'altro: il 15 luglio 1609 Annibale Carracci all'età di quarantanove anni, il 18 luglio 1610 Caravaggio all'età di trentotto anni. Nei due decenni successivi la loro eredità fu raccolta e sviluppata da un lato dalla folta ed efficiente bottega di Annibale in cui lavoravano i pittori classicisti bolognesi che lo avevano seguito nella città papale, dall'altro dagli sparsi seguaci di Caravaggio, il quale non aveva mai voluto né allievi né una bottega organizzata.

Da loro parte la nostra storia che si dipana tra gli allievi bolognesi che seguirono a Roma Annibale Carracci - Guido Reni, Domenichino, Albani, Lanfranco - i quali ebbero immediato successo sia nelle committenze pubbliche che in quelle private, tra i "riformati" toscani - Passignano, Fontebuoni, Ciampelli, Bilivert - i primi ad arrivare a Roma e già saldamente ancorati nella città papale negli ultimi anni del Cinquecento, che fecero la parte del leone nelle committenze pubbliche, e, ancora, tra i grandi favoriti delle committenze papali: Baglione e il Cavalier d'Arpino, che tentarono in vario modo di aggiornarsi per non perdere il loro ruolo preminente.

Un'altra sezione della mostra è dedicata ai pittori che subirono il fascino della nuova maniera di Caravaggio, a cominciare da Rubens, che già nel 1608, nell'Adorazione di Fermo, ci mostra quanto profondamente avesse percepito le potenzialità della luce caravaggesca. Accanto a lui Orazio Gentileschi, Orazio Borgianni, Carlo Saraceni, gli spagnoli Maino, Tristan, lo stesso Giovanni Baglione, mostrano come già nel primo decennio del Seicento, quando Caravaggio era ancora in vita, avessero intensamente assimilato i suoi modi, interpretati da ognuno di loro alla luce delle precedenti esperienze. Il numero e la qualità delle opere in mostra impone a mio avviso una profonda revisione della scansione cronologica proposta dagli studiosi, che finora ha minimizzato il portato caravaggesco nei primi dieci anni del secolo.

Seguono, sempre divise per decenni, le opere della seconda e terza decade. Tra il 1610 e il 1620 si assiste ad una vera e propria esplosione della "moda" caravaggesca, artefice della quale fu l'ancora misterioso Bartolomeo Manfredi, cui sarà presto dedicata una mostra monografica, il quale con la sua manfrediana methodus divenne il più popolare divulgatore dei modi caravaggeschi, attirando nella sua orbita soprattutto i giovani francesi - Vouet, Valentin, Regnier - arrivati in massa a Roma nei primi anni della seconda decade.
Accanto a Manfredi, in questi anni cruciali, il panorama caravaggesco romano si arricchisce di altri giovani talenti, alcuni dei quali hanno la stoffa di grandi maestri. Artemisia Gentileschi, figlia di Orazio, apre il secondo decennio con la sensazionale Susanna e i vecchioni, dipinta nel 1610 a soli diciassette anni; le opere del napoletano Battistello Caracciolo, del viterbese Cavarozzi, e ancora del veronese Turchi, del genovese Strozzi, del marchigiano Guerrieri, del bolognese Spada, solo per citarne alcune, danno un'ampia panoramica delle declinazioni avviate in questi anni sulla meditazione caravaggesca.
Oltre agli italiani, folte furono le colonie straniere a popolare Roma: oltre ai francesi, i fiamminghi e gli olandesi (Seghers, Giusto fiammingo, Baburen, de Haan) capitanati da un fuoriclasse come Gerrit van Honthorst, detto Gerardo delle notti, per l'intelligente invenzione di portare la fonte di luce all'interno delle sue composizioni, suggestivamente illuminate da candele e/o torce. Gli spagnoli sono rappresentati da due opere recentemente restituite a Jusepe de Ribera, forse a Roma già nel primo decennio insieme con i conterranei Maino e Tristan.

Tra la fine del secondo decennio e l'inizio del terzo, in coincidenza con il papato di Gregorio XV (1621-1623), bolognese, che favorì apertamente gli esponenti della pittura emiliana, si assiste a un netto cambiamento nel clima artistico romano. Nel breve volgere di pochi anni scomparirono da Roma i grandi protagonisti della prima e della seconda stagione caravaggesca: Borgianni era morto nel 1616, Saraceni era tornato a Venezia nel 1619 e Honthorst in Olanda nel 1620, Gentileschi parte per Genova proprio nel 1621, e, infine, nel 1622, muore Bartolomeo Manfredi. Spariti, quindi, i "padri fondatori" che avevano divulgato il messaggio di Caravaggio per quasi due decenni, i loro allievi, per non uscire fuori mercato, si affrettano ad aggiornare i modelli del naturalismo alla luce della tendenza vincente: il classicismo bolognese-emiliano, a cui si affiancarono presto anche le nuove prepotenti istanze barocche. Fortemente sponsorizzato dal nuovo Papa, il classicismo riceverà nuova linfa vitale dalla presenza di Poussin a Roma dal 1624. La pittura classicista, quindi, vinse il lungo confronto che l'aveva contrapposta, per anni, al naturalismo. Il caravaggismo, che fino a quegli anni aveva costituito una componente essenziale nell'ambiente artistico romano, passò rapidamente di moda e da questo momento sopravviverà solo come componente in una nuova corrente stilistica, vivificata dalle nuove istanze emergenti - oltre al classicismo emiliano, il nuovo linguaggio barocco, tenacemente sostenuto da Urbano VIII (1623-1644) per celebrare il trionfo della Chiesa cattolica sull'eresia luterana. Splendido esempio di questa originale sintesi è la magnifica, poderosa Allegoria d'Italia dipinta nel 1629 per i Barberini dal francese Valentin, l'ultimo caravaggesco rimasto a Roma, dove morirà nel 1632, che chiude la nostra mostra.

Per meglio seguire il filo e facilitare la comprensione di queste complesse vicende, gli artisti sono stati raggruppati secondo la loro provenienza geografica e le opere divise tra opere pubbliche e opere private, per far apprezzare nel migliore dei modi tutte le possibilità espressive dei protagonisti di questa entusiasmante stagione artistica.

Infine, da segnalare l'eccezionale presenza in mostra del "S. Agostino", recentemente attribuito a Caravaggio e oggetto di un vivace dibattito. Sul S. Agostino è prevista in gennaio una giornata di studi con tutti i protagonisti della querelle attributiva, molti dei quali non hanno ancora visto l'opera. (Rossella Vodret - L'Osservatore Romano)

 

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