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L’educazione è “trasmettere il senso e la bellezza della vita”; la sua “posta in gioco” è “la scelta decisiva della persona”. Così mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti–Vasto, nella lectio magistralis, ripresa dall'agenzia Sir, svolta questa mattina alla cerimonia di inaugurazione dell’Anno accademico 2011–2012 dell’Università europea di Roma. Partendo dall’icona biblica dei discepoli di Emmaus, mons. Forte spiega che “l’educazione è un cammino” che si pone “nel rischio e nella complessità del divenire della persona” e tra “due radicali e opposte possibilità”: la vittoria della morte o quella della vita. Ecco perché “l’annuncio della vita vittoriosa sulla morte deve risuonare ogni giorno, in un’incessante testimonianza vissuta”. Per l’arcivescovo è questa la “nuova evangelizzazione” di cui “ogni generazione ha bisogno”.

Diversi tuttavia gli ostacoli al processo educativo. Di fronte all’odierna “cultura del frammento” che ha profondamente modificato “la concezione del tempo”, mons. Forte esorta a “ritrovare il predominio umano sul tempo”. Ulteriore condizione necessaria al processo educativo è la “relazione interpersonale”, oggi “diventata debole” perché “siamo malati di assenza”, sempre “più soli” e “privi di un sogno comune”. Per mons. Forte “occorre camminare insieme” in una “relazione di ascolto, condivisione e dialogo”. Una “compagnia della vita e della parola” che, precisa, “non è appiattimento delle differenze”.

Chi educa deve dunque “trasmettere il senso e la bellezza della vita con l’eloquenza della vita stessa” amando “per primo e senza stancarsi”. Ma l’educatore, secondo il presule, deve anche valorizzare chi sta educando perché questo “ha bisogno anzitutto di fiducia, di quel sentirsi amato che gli consentirà anche di lasciarsi correggere e ammonire”. Ulteriore sfida nell’impegno educativo, fa notare mons. Forte, è “la cosiddetta crisi delle identità, radicata in una sorta di perdita della memoria collettiva e personale”. Lo sradicamento dal passato compromette però “la stessa possibilità di affrontare le sfide del presente e dell’avvenire”. Di qui la necessità di “una memoria partecipata all’altro con amore”.

Infine la “penuria di speranze” che “sembra caratterizzare la cultura post-moderna”. Scopo dell’educazione, precisa l’arcivescovo, è “schiudere orizzonti, raccogliere le sfide e accendere la passione per la causa di Dio tra gli uomini, che è la causa della verità, della giustizia e dell’amore”. L’educatore, conclude, “o è testimone di una speranza affidabile, contagiosa di verità e trasformante nell’amore, o non è”. (M.G. - www.radiovaticana.org )

 

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