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Lettera di fr. Mauro Jöhri, Ministro generale per l’indizione dell’VIII Consiglio  Plenario

 

1. L’VIII Consiglio plenario dell’Ordine

Cari fratelli e sorelle,

Nella lettera programmatica che vi ho inviato il 2 febbraio dell’anno in corso, ho annunciato che, in comunione con i fratelli Definitori, abbiamo deciso di indire un Consiglio plenario dell’Ordine con a tema "la grazia di lavorare". In quell'occasione ho accennato brevemente alle motivazioni che hanno dato origine all’indizione di questo evento. In questo scritto desidero proporre alcuni approfondimenti sul tema e lo faccio condividendo con voi situazioni e fatti che appartengono alla mia storia personale. Fra non molto ringrazierò il Signore per il 50° anniversario di appartenenza all’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e durante questo tempo ho assistito a molti cambiamenti. Ho vissuto la maggior parte della mia vita in Europa ed è evidente che gli occhi con cui guardo fatti ed eventi sono quelli di un europeo. Tuttavia posso affermare che la conoscenza dell’Ordine acquisita in sette anni nel servizio di Ministro generale, confermano che molti cambiamenti che riscontro in Europa, a motivo del processo di globalizzazione, stanno espandendosi progressivamente in tutti i continenti. Desidero inoltre sottolineare che il prossimo CPO dovrebbe tracciare una linea di continuità con i due immediatamente precedenti che ci hanno aiutato a rifl ettere sul tema: "Vivere la povertà in fraternità" e "Vivere la nostra vita fraterna in minorità".

 

La riflessione sul lavoro ci pone in relazione con le fonti del nostro sostentamento e il lavoro che noi svolgiamo deve tenere presente due valori centrali della nostra vita: la fraternità e la minorità. Questi aspetti saranno approfonditi e sviluppati durante la preparazione dell'evento che desidero sia vissuta come un’occasione di dialogo e formazione per i frati.

Cari fratelli con gioia e speranza vive convoco l’VIII Consiglio plenario dell’Ordine, con a tema La grazia di lavorare, ad Assisi, presso il nostro convento "Cristo risorto". dal 26 ottobre al 21 novembre 2015

2. In ascolto di San Francesco d’Assisi

Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e con devozione così che, allontanato l’ozio, nemico dell’anima, non spengano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire tutte le altre cose temporali. Come ricompensa del lavoro ricevano le cose necessarie al corpo, per sé e per i loro fratelli, eccetto denari o pecunia, e questo umilmente, come conviene a servi di Dio e a seguaci della santissima povertà. (Rb V.)

Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio. (Test.)

Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l’elemosina di porta in porta. (Test.) [pag. 02]

Queste parole semplici e forti che San Francesco ci ha consegnato nella Regola e nel Testamento, hanno accompagnato intere generazioni di frati lungo i secoli ed esse continuano ad essere fonte di rifl essione e di sana provocazione anche per noi. Le parole del Serafi co Padre ci raggiungono in un tempo e in una società dove sono in atto cambiamenti radicali proprio sul fronte del lavoro, con conseguenze che impongono una seria verifi - ca circa il nostro modo di sostentarci. I processi della globalizzazione e della secolarizzazione hanno creato un modo nuovo di concepire l’uomo e le sue attività; a questo si aggiunge un progressivo distacco dalla Chiesa e dai contenuti spirituali, etici e sociali da essa annunciati. Certamente questi mutamenti non raggiungono tutti i Paesi del mondo con la stessa intensità, ma dobbiamo riconoscere che il cambiamento è di dimensioni notevoli e spesso ne verifi chiamo gli infl ussi e le conseguenze anche nella vita religiosa. Queste brevi e sintetiche rifl essioni sono all’origine della proposta di vivere un momento forte di rifl essione che ho racchiuso nel tema la Grazia di lavorare. In questa lettera, consapevole che non sono né uno storico, né un sociologo, proverò ad approfondire le considerazioni descritte sopra. Ho scelto di condividere e narrare ciò che io stesso ho vissuto e osservato durante gli anni della mia vita di frate cappuccino.

3. Diminuisce il lavoro pastorale.

Al termine della mia relazione al Capitolo generale del 2012 facevo osservare: “Noi cappuccini, specialmente nei paesi del Sud del mondo, siamo molto impegnati nel campo della pastorale. Vi sono circoscrizioni dove la maggior parte dei frati è dedita al lavoro parrocchiale. Qua e là i vescovi cominciano a chiederci di riconsegnare le parrocchie che a suo tempo affi darono ai frati perché dispongono ormai di un buon numero di sacerdoti diocesani. Sia questa l’occasione per diversifi care il nostro servizio alla chiesa e al popolo di Dio aprendoci a nuove forme di presenza evangelizzatrice prestando particolare attenzione a quelle forme che promuovono la pace e il dialogo tra gruppi e popoli diversi.” (382)

Questa affermazione può apparire in contraddizione con la richiesta di alcuni vescovi europei e nord americani che chiedono la presenza di nostri frati provenienti dalle giovani circoscrizioni ricche di vocazioni, per far fronte alla scarsità di presbiteri nelle loro diocesi. Non sono contrario che i frati delle giovani circoscrizioni assumano impegni pastorali oltre i confi ni dei loro Paesi, ma ritengo onesto renderli attenti circa il fenomeno della secolarizzazione che sta erodendo in modo signifi cativo e rapido la pratica religiosa. Notiamo anche che il modo stesso della gente che vive nell’emisfero nord del mondo è profondamente cambiato. L’azione pastorale tradizionale, incentrata principalmente nel raggiungere quante più persone possibile con i sacramenti, ha subito notevoli cambiamenti e ogni ambito culturale e sociale presenta caratteristiche proprie che impongono adattamenti e innovazioni I fratelli delle nuove circoscrizioni che non comprendono i mutamenti in atto e vogliono riprodurre l’azione pastorale dei loro paesi d’origine, rischiano, prima o poi, di abbandonare il lavoro pastorale e di rientrare nelle circoscrizioni dalle quali sono partiti.

Inoltre il numero delle persone che tacitamente o con dichiarazione pubblica rinunciano alla loro appartenenza alla Chiesa è in costante aumento nei Paesi che fi no a non molto tempo fa avevano una presenza cattolica molto consistente. Mi riferisco in particolare modo al nord dell’Europa, ma ciò vale anche per il Canada di lingua francese e altri paesi ancora. Siamo consapevoli che ci attende un grosso lavoro di nuova evangelizzazione, ma allo stesso tempo prendiamo atto della diminuzione costante del lavoro pastorale e mi riferisco in modo particolare a quello di tipo tradizionale, per il quale riceviamo normalmente un’offerta. Le possibilità di nuove attività pastorali non mancano, ma per molte di queste non possiamo attenderci nessun compenso.

Proseguo nell’analisi presentando una situazione che da anni accompagna la vita del nostro Ordine: la diminuzione dei contributi alla cassa centrale della solidarietà economica. La conseguenza di questo decremento é la diffi coltà sempre più evidente di contribuire alle numerose richieste di sussidio presentate dalle circoscrizioni più giovani del nostro Ordine, in particolare dell’Africa e dell’Asia. Molte province che nel passato condividevano generosamente parte delle offerte ricevute e del provento del lavoro dei frati con altre circoscrizioni dell’Ordine, oggi non sono più in grado di farlo, oppure possono farlo solo in modo molto ridotto. Che cosa è accaduto? Quali sono le ragioni di questa diminuzione?

Tutti affermiamo, ed è vero, che la causa principale è da attribuire alla crisi economica che ha colpito l’Europa e altri continenti. Verifi chiamo che stanno diminuendo drasticamente le offerte ma anche le entrate frutto del lavoro dei singoli frati hanno subito una signifi cativa riduzione. Attribuiamo questo fenomeno anche al decremento delle vocazioni in atto in numerose province e al ridimensionamento senza precedenti delle nostre presenze.

L’età media delle province di secolare fondazione è in costante aumento; spesso la maggior parte delle entrate delle fraternità è costituita dai proventi delle pensioni di anzianità e questo denaro viene utilizzato in gran parte per le cure dei frati anziani. È giusto che sia così, ma in questo modo viene a mancare quell’eccedenza di Provvidenza [pag. 03] che un tempo veniva condiviso con i nostri fratelli che vivevano in contesti molto poveri, dove la gente non era in grado di contribuire economicamente per il lavoro e il ministero offerto.

4. “Pregate per noi!”

Oltre a quanto descritto sopra, ritengo che le ragioni della crisi sono ancora più profonde e sono imputabili ad alcuni cambiamenti di mentalità in atto nella nostra società. Desidero fare alcuni esempi attingendo alla mia esperienza di frate cappuccino.

Poche settimane dopo aver vestito l’abito cappuccino nel noviziato di Arco di Trento, venni inviato con gli altri fratelli novizi nella campagne circostanti per la questua dell’uva. Questo ci permetteva di produrre un buon vino senza alcun costo Nel corso dell’anno erano soprattutto i fratelli laici della fraternità ad uscire per la questua dell’olio, delle patate, della legna e di altri prodotti.

Un fratello si recava quotidianamente in città per la questua del pane. Il grande orto del convento ci forniva frutta e verdura in abbondanza. Notate che non sto raccontando episodi degli inizi del 1800, essi risalgono al 1964, 50 anni fa! Rientrato in Svizzera per lo studio della teologia, in primavera e in autunno sospendevamo per una settimana lo studio e tutti partivamo per i villaggi nei dintorni per questuare. Normalmente la gente ci dava del denaro e, salvo qualche rara eccezione, eravamo accolti con grande cordialità. Perché la gente era generosa nei nostri confronti e non ci sbatteva la porta in faccia? Credo di poter dire che fra le persone che ci benefi cavano e noi frati esisteva un patto non scritto, ma che veniva rispettato con fedeltà ed effi cacia. Mi spiego: nel cuore e nella mente della gente noi frati eravamo percepiti come coloro che avendo scelto di dare la loro vita a Dio avevamo un compito particolare: la preghiera d’intercessione per tutte le persone che con le loro offerte e i loro doni ci manifestavano la Provvidenza del Signore La nostra vita di preghiera e di rinuncia dava compimento e integrava quella parte di devozione che la maggior parte dei fedeli non era in grado di vivere, ma che avvertiva buona e necessaria. Detto in modo sintetico, il ragionamento era questo: “Voi frati pregate e conducete una vita austera e i frutti di tale condotta di vita davanti a Dio torneranno anche a nostro vantaggio. Voi colmate la misura di ciò che saremmo chiamati a fare anche noi tutti, ma per tanti motivi contingenti non riusciamo a compiere, perciò avete diritto di bussare alle nostre porte e di chiedere un contributo per il vostro sostentamento. Voi pregate anche per noi e noi siamo disposti a sostenervi!” Agli occhi del popolo di Dio la nostra presenza aveva una valenza fortemente simbolica. Essa portava qualcosa di rassicurante e interveniva nel rapporto di ogni singolo con Dio.

Eravamo considerati come uomini capaci di presentare al Signore le persone e le situazioni che esse vivevano e questa intercessione veniva onorata con grande generosità Quante volte ci siamo sentiti dire: “Prega per me!” e la persona che ci diceva questo ci metteva tra le mani del denaro.

Molte persone hanno continuato a donarci offerte anche dopo che i fratelli non uscivano più per la questua. Dopo la metà degli anni 60, nonostante il tenore di vita in Europa e in America del Nord fosse notevolmente migliorato, i frati cappuccini a motivo del loro stile di vita semplice e per l’impegno profuso nel lavoro missionario hanno sempre goduto dell’aiuto di tante persone. C’era la volontà di aiutare, di condividere; ci si fi dava di noi, sicuri che l’offerta sarebbe arrivata certamente a destinazione e sarebbe servita a qualcosa di buono e di utile.

5. Il cambiamento

Il contesto sociale-religioso e la trama di relazioni che ho descritto fin qui e nel quale ho vissuto non esistono più, o meglio le ritroviamo in modo marginale. Quel patto tacito fra la gente e i frati si è progressivamente infranto. Non di rado capitava che bussando ad alcune porte, ci si sentisse porre questa domanda: “Signore, per quale organizzazione o opera sta raccogliendo fondi?”. L’indebolimento del nostro legame con la gente trova la sua spiegazione sia in relazione al passaggio dal mondo contadino a quello industriale e poi tecnologico, sia nella forte infl uenza che il processo di secolarizzazione esercita sul nostro modo di vivere il Vangelo e la vita religiosa. Una delle conseguenze di questo mutamento è che anche il nostro sostentamento non usufruisce più delle fonti che lo alimentavano in passato. Questa costatazione rende urgente rifl ettere sul nostro lavoro, perché operiamo scelte che ci aiutino a guardare avanti con la fi ducia in Colui al quale chiediamo il pane quotidiano.

Le nuove generazioni di frati sia in Europa che nelle altre zone del mondo non hanno conosciuto la questua ma certamente anch’esse sono state [pag. 04] beneficate della generosità della gente nei nostri confronti e questo grazie a quel patto descritto sopra. Abbiamo condiviso quanto abbiamo ricevuto e anche parte del frutto del nostro lavoro, perché coscienti di appartenere ad un’unica fraternità internazionale.

La condivisione si è resa possibile perché i frati hanno tentato di vivere senza compromessi quanto affermano le nostre Costituzioni: “Tutto ciò che i frati ricevono in compenso del lavoro prestato appartiene alla fraternità e deve essere pertanto consegnato integralmente al superiore.” Ogni singola casa passava l’eccedente alla vita ordinaria alla provincia e questa a sua volta trasferiva il denaro alla curia generale, che pensava a far fronte ai bisogni di quelle circoscrizioni che non erano di grado di sostenersi autonomamente.

Nella Chiesa i Cappuccini appartengono agli ordini mendicanti, questa denominazione, che continua a fi gurare sulle pagine dell’Annuario pontifi cio, esprime la disponibilità all’itineranza, ad una vita povera ed essenziale che non ci rende padroni di nulla.

Come poveri siamo chiamati a vivere del nostro lavoro consapevoli che lo stesso ministero pastorale sta subendo un forte cambiamento. Uno degli ultimi segni del patto tra noi e la gente che continua a sussistere, anche se in forma sempre più ridotta, è l’offerta che riceviamo per la celebrazione delle sante messe; ma anche in questo caso la diminuzione sembra essere irreversibile.

Di fronte a questi cambiamenti noi non possiamo rimanere passivi, con le mani in mano; in ogni parte del mondo, siamo chiamati ad interrogarci su come intendiamo sostentarci. Il criterio fondamentale che deve guidare la nostra rifl essione, e che in questo scritto voglio affermare con forza e chiarezza, e questo: il lavoro del singolo frate deve essere in sintonia con il primato della vita fraterna. L’inevitabile specializzazione che richiederà un’attività lavorativa sarà in grado di salvaguardare questo principio?

Quali sono di conseguenza le scelte che siamo chiamati a fare e a promuovere? E quale tipo di vita fraterna intendiamo promuovere in un contesto profondamente cambiato?

6. Quale tipo di fraternità?

Riflettiamo ora su un’altra trasformazione che è in atto in mezzo a noi e che incide fortemente sul nostro modo di vivere. Mi riferisco al personale che abbiamo assunto alle nostre dipendenze per i vari servizi all’interno delle fraternità. C’è chi si occupa della cucina, chi fa le pulizie, chi lava e stira i nostri panni, chi risponde al telefono e apre la porta agli ospiti, chi si prende cura dei nostri frati infermi. La maggior parte di queste persone riceve uno stipendio per la sua prestazione. Ribadisco il dovere morale di ogni nostra fraternità nei confronti del personale dipendente: si agisca sempre con giustizia, nel pieno rispetto delle leggi vigenti nei vari Paesi, osservando tutte le norme in materia retributiva e assicurativa. Assumiamo persone che ci servono, e questo non è un fatto irrilevante, ma oso affermare che questa prassi ha progressivamente cambiato il volto e anche l’identità delle nostre fraternità. La presenza di personale stipendiato ci ha permesso di essere più liberi per il lavoro pastorale, ci ha dispensati dal compiere lavori che consideriamo essere poco o per nulla gratifi canti, come quelli domestici. In molti casi la presenza dei dipendenti ci ha permesso di procrastinare per lungo tempo la chiusura di alcune case, mantenendo in loco un numero assai ridotto di frati. Queste considerazioni evidenziano come la vita fraterna viene concepita e strutturata ormai principalmente in funzione dell’attività pastorale.

Le nostre case rischiano di assomigliare più

a delle canoniche che non a dei conventi di fratelli che vivono la minorità e la povertà! Questo modo di concepire e vivere la vita fraterna ha indebolito molto la sua valenza simbolica e le conseguenze sono la facilità con cui scendiamo a compromessi: ci dispensiamo dalla preghiera comunitaria, dai pasti consumati in comune, dalla ricreazione e dalla celebrazione dei capitoli locali. Abbiamo demandato gran parte del lavoro manuale a terzi e ora, a motivo della diminuzione delle entrate, siamo costretti a rivedere la nostra prassi e le nostre scelte.

Cari fratelli ci poniamo una domanda che vuole aprire una rifl essione sul nostro vissuto personale e fraterno: siamo disposti a fare della crisi economica, con tutte le relative conseguenze accennate sopra, un’opportunità per verifi care che qualità di vita fraterna vogliamo vivere? La reazione che spesso osservo di fronte ai problemi economici è quella di correre ai ripari in modo affrettato, valutando le situazioni solo dal punto di vista tecnico ed economico. Siamo chiamati a ridimensionare e a ripensare il nostro stile di vita. E’ così impossibile che ci assumiamo e ci distribuiamo i diversi compiti e servizi propri della vita fraterna, proponendo con forza questo valore fin dai primissimi tempi della formazione iniziale? (Cost. 30,3) Siamo disposti a farlo con molta onestà, vedendo in questo un’occasione unica per verifi care la qualità delle nostre relazioni nelle quali possiamo sperimentare la bellezza e la letizia di servirci gli uni [pag. 05] gli altri? Non si tratta unicamente di riappropriarci del lavoro manuale, ma di riappropriaci di alcuni valori originali e vivi della nostra vita fraterna. In futuro saremo chiamati a diversifi care in modo signifi cativo le nostre attività lavorative e dovremo farlo privilegiando i principi che guidano la vita fraternaevangelica.

E’ così impensabile che possiamo vivere come tanti fratelli e sorelle o tante famiglie che non possono permettersi di avere una domestica o altri dipendenti e che per arrivare a fi ne mese devono mantenere un tenore di vita sobrio ed essenziale?

Nella misura in cui ogni fratello crescerà nel senso di appartenenza alla fraternità contribuirà ad eliminare i paragoni e le differenze che sono spesso causa di sofferenze e incomprensioni: il frate che esercita un ministero o una professione ben retribuiti e quello che si dedica maggiormente ai lavori domestici o alle attività sociali senza alcun compenso contribuiscono in egual misura al bene dell'unica fraternità. Chiediamo che questa consapevolezza si consolidi sempre maggiormente come patrimonio prezioso delle nostre relazioni.

7. Il valore del lavoro per il singolo frate

Il lavoro non ha valore soltanto in quanto mezzo di sostentamento, ma è una possibilità data alla persona di dare senso alla propria vita, contribuendo a realizzare la propria umanità. Assistiamo sgomenti al dramma di chi rimane a lungo senza lavoro e vediamo le conseguenze negative che la disoccupazione produce a livello psicologico, relazionale e famigliare. Queste situazioni, a volte drammatiche, ci aiutano a comprendere perché è sensato usare il termine Grazia quando parliamo del lavoro.

Ognuno di noi vorrebbe poter svolgere un lavoro gratifi cante e possibilmente creativo che permetta al singolo di sviluppare pienamente le sue doti e quindi di realizzare se stesso seguendo le proprie aspirazioni . Si tratta di un desiderio legittimo che però non può entrare in confl itto con le esigenze della vita fraterna e del servizio reciproco. Le scelte inerenti alla preparazione ministeriale e professionale da offrire ad ogni singolo frate non possono essere adottate senza tener conto delle esigenze del bene comune. Si deve operare tenendo presenti sia le attitudini del singolo che le necessità della fraternità, in particolare modo di quella provinciale. L’attuazione di questo criterio può portare a sperimentare momenti di tensione e qualche volta occorre chiedere al frate di accogliere una proposta che non corrisponde alle sue aspettative. Grazie, fratelli, per tutte le volte che avete accolto e che accoglierete qualcosa che non vi piace completamente, fondando il vostro sì sul consiglio evangelico dell’obbedienza e sul servizio alla fraternità. E’ necessario che chiediamo al Signore la Grazia di rendere concreto e visibile ciò che affermiamo e predichiamo a riguardo dell’obbedienza, del sacrifi cio, della disponibilità a servire fi no a donare la propria vita per la crescita e la promozione degli altri. Accogliere la proposta di un lavoro o di un servizio fraterno interpella la dimensione stessa della nostra fede ed esige una continua educazione all’oblatività e alla gratuità.

Condivido ora una situazione che mi suscita perplessità ed interrogativi. Un buon numero di frati ha avuto l’opportunità di compiere studi, di portarli a termine con il conseguimento della licenza e il dottorato. Purtroppo constato che un buon numero di questi fratelli non mette a servizio le conoscenze acquisite, a volte perché sono destinati a fare altro, altre volte perché si rifi utano di trasmettere ciò che hanno ricevuto. Come mai tanti dei nostri laureati una volta terminati gli studi disertano completamente i sentieri della ricerca e si accontentano semplicemente di ripetere sempre le stesse cose?

8. Capaci di dire “grazie”

A volte ho come l’impressione che tra noi venga a mancare il senso della riconoscenza. Non si è capaci di dire “grazie”. Quando visito le province mi capita spesso di imbattermi in una serie infi nita di rivendicazioni: vogliamo più computer, più mezzi di trasporto e altri strumenti che ci fanno sentire comodi e trendy. In poche occasioni ho ascoltato parole di gratitudine per tutto ciò che abbiamo che, nella quasi totalità delle circoscrizioni, è decisamente superiore al livello medio del tenore di vita della gente. L’Ordine ci permette di dedicarci a tempo pieno allo studio, liberandoci dalla preoccupazione del denaro e dagli impegni che tanti cittadini devono onorare (tasse, assicurazioni, ecc). La gratitudine si manifesta mettendo a frutto ciò che abbiamo acquisito nel tempo dello studio, lavorando nel campo dell’insegnamento e dell’animazione culturale.

Il grazie diventa anche concreto lavando i piatti e pulendo i servizi igienici. Mettere in comune il frutto del nostro lavoro ci permette di vivere dignitosamente, anche con poco, e di condividere con altri parte di quanto la Provvidenza depone nelle nostre mani. Questa è una dimensione fondamentale della nostra vita; la sua realizzazione dipende fortemente dal senso di appartenenza all’Ordine e alla fraternità che sviluppiamo lungo il cammino della formazione iniziale e che coltiviamo con cura durante tutta la nostra esistenza.

Le nostre Costituzioni permettono di “depositare il denaro veramente necessario presso banche o altri simili istituti, anche con interesse limitato” (66,3). Nell’Ordine, vi sono circoscrizioni che hanno affi ttato a terzi terreni o immobili di loro proprietà e per i quali percepiscono un reddito regolare. Altre circoscrizioni di recente fondazione si sforzano di realizzare progetti di auto sostentamento con l’intento di produrre un reddito regolare. Fino a che [pag. 06] punto possiamo percorrere questa strada? La realizzazione di progetti, specialmente quelli legati allo sfruttamento agricolo di terreni, si è rivelata estremamente diffi cile e tutt’altro che redditizia. Ritengo che non possiamo per nessun verso immaginare di finanziarci unicamente in questo modo. Sarebbe contro il voto di povertà e ci allontaneremmo di molto da quella gente che le Costituzioni chiamano “di modeste condizioni” (66,3). Ritengo sensato che un modesto reddito prodotto da somme investite o da immobili affi ttati possa essere utilizzato a fi nanziare in primo luogo il lavoro dei nostri frati impegnati in opere sociali al servizio dei poveri e per il quale non percepiscono stipendio. Però anche in questi casi non dovrebbe venir meno il dovere della carità e solidarietà condivise al nostro interno, che sintetizzo e consegno alla responsabilità che ognuno di noi ha di fronte a Dio e ai fratelli: ho ricevuto la grazia di lavorare e consapevole che tutto è dono consegno il mio stipendio, o il denaro che ricevo a titolo di offerta, alla mia fraternità contento di sostenere le necessità dei miei fratelli, e di supportare l’opera di chi lavora con i poveri e gli ultimi della terra.

9. Concludendo

Cari fratelli, l’intento di questa lettera è quello di attivare la riflessione sul nostro lavoro e della Grazia che esso rappresenta. Ho voluto segnalare alcune situazioni senza la pretesa di essere esauriente. Lavoreremo insieme nelle varie fasi che precederanno, accompagneranno e seguiranno la celebrazione del Consiglio Plenario dell’Ordine e già fin da ora vi chiedo la disponibilità a donare generosamente la vostra collaborazione. Desidero soprattutto evidenziare che siamo ad un punto di svolta sia per ciò che riguarda la fraternità sia per il singolo frate e per questo desidero attivare alcuni fratelli perché preparino un contributo che attinga alla storia e alle nostre fonti. E’ necessario pregare, rifl ettere, cercare nuove vie, e fare delle scelte innovatrici. Per questo è importante che tutto l’Ordine, che siete tutti voi, si lasci coinvolgere in questo tipo di rifl essione e la comunichi agli altri.

Per la preparazione del CPO abbiamo costituito un gruppo di lavoro che elabori ulteriormente quanto ho abbozzato in questa lettera e che prepari uno strumento di rifl essione che verrà inviato a tutti i frati. I vostri contributi permetteranno poi ai frati che si riuniranno per un mese ad Assisi di elaborare una serie di proposizioni da inviare a tutto l'Ordine con lo scopo di orientare concretamente il nostro cammino.

I fratelli della Commissione preparatoria sono:

- Fr Stefan Kozuh, Vicario generale, presidente

- Fr. Hugo Mejía Morales (Def. Gen.), vicepresidente

- Fr. Francisco Lopes (PR Ceara Piauí, Brasile), segretario

Membri:

- Fr. Giovanni Battista Urso (PR Calabria, Italia)

- Fr. Mark Joseph Costello (PR Calvary, Stati Uniti)

- Fr. Moses Njoroge Mwangi (VG Kenya, Africa)

- Fr. Nithiya Sagayam (PR Tamil Nadu Nord, India)

Cari fratelli porto nel cuore la lieta certezza che lo Spirito del Signore ci sta già aiutando a compiere scelte essenziali, semplici e incisive e desidero che questa bellezza venga raccontata e diffusa tra noi. Sosteniamoci insieme e ricordiamoci gli uni gli altri che la Grazia del Signore sostiene e accompagna la nostra vita e il nostro lavoro. Ognuno di noi con lo sguardo rivolto a Cristo e a Francesco faccia la propria parte.

Desidero che questa lettera giunga tra le mani di ogni fratello del nostro Ordine, pertanto prego i Ministri provinciali i Vice provinciali, i Custodi e i Delegati di attivarsi perché questo possa avvenire nel modo più rapido possibile. Grazie.

Saluto ognuno di voi con fraterno affetto.

Fr. Mauro Jöhri

Ministro generale OFMCap

Roma, 1 novembre 2013

Solennità di Tutti i Santi

www.ofmcap.org

 

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