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il Prefetto di Robe, padre Angelo Antolini, frate Cappuccino, racconta la sua missione in Etiopia

La Prefettura Apostolica di Robe è stata creata da Propaganda Fide l’11 febbraio 2012 (vedi Agenzia Fides 13/02/2012). Da allora sono passati quasi dieci anni e tra tante sfide la presenza della Chiesa cattolica continua a farsi presente. Il primo Prefetto nominato, padre Angelo Antolini, frate Cappuccino, OFM Cap., è stato a Roma nel mese di ottobre 2021 per incontrare per la prima volta il Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, card. Luis Antonio Tagle. Con l’occasione il Direttore dell’Agenzia Fides, padre Dinh Anh Nhue Nguyen, OFM Conv., ha realizzato la seguente intervista con p. Antolini


P. Anh Nhue: Benvenuto a Roma padre Angelo, abbiamo avuto l’occasione di intervistare p. Emanuele (vedi Agenzia Fides 3/7/2021) che Le ha fatto un po’ da precursore. Ora che abbiamo anche Lei in persona Le chiedo una parola di presentazione ai lettori di Fides.
P. Angelo: Sono un frate Cappuccino delle Marche. Sono in Etiopia da 41 anni, i primi 26 dei quali a sud ovest, nel Wolayta, dove i Cappuccini delle Marche avevano una missione. A quel tempo quando sono arrivato era solo Prefettura adesso sono due vicariati dove si registra la presenza più grande dei cattolici in Etiopia del sud. Da 15 anni sono stato trasferito nello Stato Regionale dell’Oromia, a sud est del Paese, dove il 95% della popolazione oromo è mussulmana. Si tratta della più grande etnia dell’Etiopia con 40 milioni, poco più di un terzo della popolazione.


I primi 5 anni li ho trascorsi come parroco in una piccola comunità, dove molti si sono convertiti dall’islam. In seguito, smembrando il Vicariato di Meki da quasi 10 anni è stata aperta la nuova Prefettura Apostolica di Robe per la quale sono stato nominato Primo Prefetto. Da allora mi sono trasferito da Kofale a Robe, 160 km averso Est, dove ho iniziato questa nuova esperienza. Siamo molto pochi per un territorio che si estende quanto un terzo dell’Italia e una popolazione di oltre 4 milioni di abitanti divisi principalmente in due etnie tra gli oromo che sono tre milioni e mezzo e i somali che sono 500 mila. Siamo mille cattolici in 5 comunità. Di recente, nella zona somala dell’Etiopia abbiamo aperto una nuova piccolissima comunità a Gode dove attualmente ci sono solo 3 cattolici, una suora e due ragazzi. I somali vivono nella nazione somala e nella nazione Etiopica. In Etiopia sono cinque milioni. Politicamente sono etiopici ma in realtà sono somali con evidenti problematiche irrisolte di questo popolo diviso dal colonialismo europeo. In realtà loro sono somali e tali si sentono.

P. Anh Nhue: Quali sono le lingue parlate?

P. Angelo: nella nostra Prefettura si parlano due grandi lingue: l’oromo e il somalo. Tre milioni e mezzo di abitanti parlano l’oromo e 500 mila il somalo. A livello nazionale, fino al 1991, la lingua considerata nazionale era l’amarico che è ancora la più parlata in quanto usata anche come lingua di lavoro che fa da tramite tra le 84 lingue diffuse in tutto il Paese. I nostri fedeli parlano l’oromo e nelle cittadine parlano anche l’amarico. Usiamo entrambe le lingue, per la liturgia usiamo soprattutto l’oromo. A Robe e Goba, dove vivo, usiamo l’amarico che i nostri cattolici conoscono di più ma la popolazione parla soprattutto oromo, la sesta lingua parlata in Africa da oltre 40 milioni di persone. Non è stata mai valorizzata soprattutto dopo la creazione dell’Impero Etiopico Cristiano da parte di Menelik, di etnia Amara e Cristiano. Quando si parla di Etiopia si pensa sempre all’Etiopia cristiana, ma l’Etiopia cristiana è quella del nord, degli Amara, Tigrini, dei Semiti che hanno accolto il Vangelo 300 anni dopo Cristo quindi è una Chiesa molto antica unita ad Alessandria. Il cristianesimo in Etiopia ha origine nella parte nord, dove nasce il Nilo azzurro, in quell’area vivono i popoli semiti dopo la migrazione dallo Yemen in Etiopia, prima di Cristo, e si è creato il grande impero axumita e poi nel 300 con gli evangelizzatori da Alessandria questa parte è diventata cristiana. Fino al 1800 è stato così, fino a quando Propaganda Fide, inizio ‘800, inviò due evangelizzatori cattolici. Uno venne inviato a nord, San Giustino de Jacobis, lazzarista di Napoli, mandato come si diceva a quel tempo per “convertire gli eretici, cioè gli ortodossi” e riportarli al cattolicesimo. Al sud invece venne mandato Guglielmo Massaia, Cappuccino Piemontese, nominato alla fine della sua vita Cardinale, come vicario per evangelizzare i popoli Galla, nome dispregiativo dato ai pagani… A livello teologico c’erano ben poche diversità. Al nord de Jacobis usò una strategia molto inculturata nella realtà orientale e cominciò con la liturgia orientale con l’intento di aiutare le popolazioni ortodosse a riconoscere l’autorità di Pietro.
Al Sud si parlava genericamente dei popoli Galla, ma in realtà vivono più di quaranta altri popoli più o meno numerosi. La storia racconta che il cardinale Massaia, mentre si recava al sud per insediarsi nel suo vicariato, passò a consacrare vescovo de Jacobis che al momento ero solo amministratore apostolico.
In Etiopia, prima dell’impero cristiano diciamo, Propaganda Fide evangelizzò in questo modo: al nord inculturandosi con la realtà cristiana orientale, nacque la chiesa cattolica di rito orientale. Ci furono anche dei martiri, sacerdoti che passarono alla chiesa cattolica. Al sud invece si evangelizzò come si evangelizzava in tutto il mondo con il rito latino. Ecco perché in Etiopia abbiamo 4 eparchie attualmente di rito orientale, al nord, e 8 vicariati e 1 prefettura al sud. Naturalmente la maggioranza dei cattolici numericamente è al sud in quanto al nord il cristianesimo orientale è molto forte e pochissimi passavano alla chiesa cattolica. Oggi i cattolici di rito orientale sono il 10% del milione circa di Cattolici etiopici (appena 1% della popolazione etiopica). Il 90% vive al sud del paese. Non sempre questa diversità è vista come un dono ed una ricchezza.

P. Anh Nhue: Grazie per questo excursus storico che ci aiuta a comprendere in parte la complessità della missione. Certamente ci vuole tanta preghiera. Tornando a questa situazione al di là dello sviluppo naturale delle strutture quali sono le attività quotidiane della missione?

P. Angelo: Essendo molto pochi, la nostra attività non è solo ecclesiastica o ecclesiale. Siamo comunità di 20/30 fratelli, le più grandi sono composte da 100/150persone. Quindi la nostra è un’attività di presenza nell’islam mostrando l’amore di Dio ai di Dio ai poveri, ai malati, nelle scuole... Abbiamo una comunità delle Suore di madre Teresa di Calcutta che ospita più di 300 malati mentali. Anche per questo ho voluto avviare la costruzione di un ospedale neuropsichiatrico proprio per arrivare agli ultimi e accogliere queste persone che troviamo buttate sulle strade. Ho pensato di poter affiancare con una struttura medica quello che già madre Teresa aveva iniziato 35 ani fa accogliendo caritativamente queste persone. Da subito ho voluto dedicare la nostra Prefettura a madre Teresa (vedi Fides 16/7/2012) perché fu lei ad iniziare personalmente la presenza della chiesa cattolica in quell’area. I padri della Consolata che erano responsabili di quell’area, difficile dal punto di vista dell’evangelizzazione, la invitarono ad aprire una casa. Lei andò 35 anni fa nel periodo della rivoluzione comunista, vide che era possibile, chiese un sacerdote che le affiancasse e cominciò questa prima presenza che è ancora molto significativa.

P. Anh Nhue: Quante suore ci sono adesso lì?

P. Angelo: Le suore di madre Teresa a Goba sono 5, mentre a Kofele abbiamo 4 suore Francescane Missionarie di Cristo, poi abbiamo 3 sorelle della Congregazione di Villaregia e con me nove sacerdoti missionari. I missionari siamo in dieci: quattro sorelle e sei preti.

P. Anh Nhue: Tornando a queste piccole comunità si parla delle comunità di base fondamentali per l’evangelizzazione. Anche Papa Francesco ha dedicato a queste comunità ampio spazio nell’Evangelii Gaudium.

P. Angelo: Le comunità di base hanno grande valore dove ci sono realtà grandi, ad esempio grandi parrocchie dove si rischiano rapporti impersonali. La comunità di base poi è una presenza territoriale, evangelizza e vive in questo territorio dove la comunione è reale non nominale. Nelle nostre piccole realtà siamo già comunità di base dove ci si conosce tutti. Il senso comunitario, la presenza sul luogo noi la viviamo perché le nostre comunità sono piccole.

P. Anh Nhue: Che ne pensa di questa potenza evangelizzatrice di questo tipo di comunità, piccole.

P. Angelo: Penso che sia il futuro dell’esperienza pastorale, non è più il tempo delle grandi masse, cioè la parrocchia deve diventare comunità di comunità dove l’esperienza del Risorto viene vissuta realmente, dove l’esperienza comunitaria è del fratello e della sorella concreta, che hanno un nome e che vivono in un ambiente con dei bisogni e delle necessità dove è importante essere quel seme, quella luce del Signore per essere, come dice Gesù, lievito di una massa che non è cattolica non è cristiana. Diciamo che il ritorno anche pastoralmente delle piccole comunità sia fondamentale. Diversamente si rischierebbe un cristianesimo di massa che difficilmente ti coinvolge anche emotivamente. Non per niente il cristianesimo che sta emergendo è quello pentecostale dove l’appartenenza è fin troppo esagerata, addirittura settaria. Non dobbiamo arrivare a quel tipo di esperienza però credo che nella chiesa cattolica dobbiamo recuperare un poco anche l’aspetto emotivo della fede.

P. Anh Nhue: Certo, la fede deve coinvolgere tutto l’essere, non deve limitarsi ad essere solo concettuale ma essere sentimenti, cuore. Occorre quindi una pastorale missionaria intensa per tornare a quelle comunità che Gesù stesso aveva creato con gli apostoli, oltre alla semplice messa in parrocchia.

P. Angelo: Occorre anche il catecumenato reale, dove c’è un vero incontro con Gesù Cristo, dove si sperimenta che lo Spirito Santo cambia il tuo cuore, feconda la tua cultura a volte trasformandola. L’incontro con Gesù trasforma e se non è questo è niente.

P. Anh Nhue: Ci sono difficoltà anche nelle piccole comunità, voi ne incontrate?

P. Angelo: Quando c’è una famiglia ci sono tutte le difficoltà di una famiglia, siamo tutti caratteri diversi. Io dico sempre che nella piccola comunità si attua la profezia di Isaia che dice che il lupo vive con l’agnello. Ognuno di noi ha un suo carattere ma lo Spirito Santo ha la capacità di fare vivere insieme il lupo e l’agnello. Nella comunità cristiana dovremmo arrivare a realizzare questa profezia che si realizza in Gesù e poi nella comunità cristiana. Se la comunità cristiana è così ampia e il cristianesimo è solo personale, devozionale e non è comunitario, è chiaro che l’esperienza del miracolo della carità, del miracolo di Gesù che può mettere insieme un lupo e un agnello non si realizza, io vivo il mio cristianesimo e non mi importa della comunità. Non c’è un cristianesimo senza una comunità.

P. Anh Nhue: Che tipo di attività svolgete per aiutare i fedeli ad approfondire la Parola?

P. Angelo: Proprio a Natale dello scorso anno abbiamo avviato il primo Sinodo della Prefettura che porteremo avanti fino al prossimo Natale. Stiamo riflettendo molto anche in risposta alla pandemia che ci ha impedito di ritrovarci. Abbiamo visto che la pandemia è una Parola di Dio e ci è stato dato un segno. Noi cattolici siamo molto legati ai sacramenti e ne siamo stati privati, ma la Parola? Dov’è la capacità di celebrarla in famiglia, come chiesa domestica. Vogliamo dare una traccia nuova, aiutare i fedeli anche alla preghiera personale perché molti hanno pensato: visto che non preghiamo in chiesa non preghiamo più. Ma Gesù dice vai nella tua cella e prega in segreto. Abbiamo veramente insegnato a pregare nell’intimo? La celebrazione della Parola in famiglia sarebbe stata possibile anche senza andare in chiesa. Questa pandemia ci ha coinvolti tuti e per me è stato un evento molto forte, un parola di Dio molto forte. Anche per questo ho voluto riflettere in un sinodo.

P. Anh Nhue: L’uno non esclude l’altro, facciamo in casa in attesa di un ritorno….

P. Angelo: Esatto, abbiamo talmente accentuato la liturgia e il sacramento che abbiamo completamente ignorato la capacità della preghiera personale, dell’incontro con le Scritture delle celebrazioni domestiche.

P. Anh Nhue: Il ruolo dei laici, semplici fedeli.

P. Angelo: Certo e questo dipende dal clericalismo dominante. Per celebrare i sacramenti occorre il prete, per celebrare la Parola non c’è bisogno del prete. Non abbiamo voluto consegnare quello che i laici hanno il diritto di fare, cioè la Parola, soprattutto la famiglia come chiesa domestica dove il padre e la madre hanno un ruolo sacerdotale.

P. Anh Nhue: Ogni battezzato è sacerdote, partecipa per vocazione nel sacerdozio unico di Cristo (come ci insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 1546: “I fedeli esercitano il loro sacerdozio battesimale attraverso la partecipazione, ciascuno secondo la vocazione sua propria, alla missione di Cristo, Sacerdote, Profeta e Re”).
Per quanto riguarda il sacerdozio comune dei fedeli e quello ministeriale degli ordinati, l’uno non esclude l’altro. Di sicuro questa pandemia ha cambiato tutto, come Papa Francesco ha sottolineato ‘non saremo più uguali a prima, saremo o più buoni o più cattivi’.
Grazie p. Angelo per il vostro servizio, le vostre attività e la pastorale per questo piccolo gregge. In quelle terre di missione tutte le attività pastorali sono missionarie. Grazie per quello che fate, noi cerchiamo sempre di essere in comunione di preghiera di intento di evangelizzazione. Di sicuro come abbiamo intuito vivete un po’ di complessità non solo fuori ma anche all’interno. Affidiamo tutti al Signore e buon proseguimento. Ovviamente da francescano tutto ciò che lei fa ha di sicuro il tocco francescano umile, paziente, che evangelizza anche semplicemente con la presenza, il sorriso, la cordialità.

P. Angelo: Grazie a voi per quello che fate per noi.

(fonte: http://omnisterra.fides.org/articles/view/172)

 

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