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Presentato all'Università della Santa Croce, l'ultimo libro di Robert Spaemann


di Maria Gabriella Filippi

“A qual fine” era il titolo di una precedente edizione tedesca dell’ultimo libro di Robert Spaemann, Fini naturali. Storia e riscoperta del pensiero teleologico (Edizioni Ares), la cui presentazione si è svolta ieri presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma.

Si tratta del capolavoro di Spaemann, opera in cui si trova condensato l’intero percorso di studi dell’autore, il cui contributo fondamentale è quello di recuperare un’interpretazione finalistica della realtà (una delle categorie-caposaldo della filosofia occidentale), e di rivelare cosa significa vivere in una società che abbia abolito ogni spiegazione teleologica, ossia ogni perché delle cose.

Alla domanda rivolta a Socrate sul perché non evade dal carcere, la sua risposta è: perché le mie gambe non si muovono oltre. La risposta al perché non si muovono oltre è: perché io voglio rimanere qui. In questo caso la spiegazione scientifica si fermerebbe  all’immobilità delle gambe, rimanendo incompleta”: con queste parole ed immagini lo studioso ha esemplificato il pensiero teleologico e la portata del suo approccio al reale, a cominciare dall’applicazione alle bio-scienze.

Tra gli ospiti della serata sono intervenuti il card. Camillo Ruini, autore della prefazione, mons. Luigi Romera, Rettore della Pontificia Università della Santa Croce, il prof. Sergio Belardinelli, ordinario di Sociologia dei processi culturali nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bologna, e il prof. Leonardo Allodi, docente associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna, nonché curatore e traduttore di Fini naturali.

“In questo libro risulta chiaro, il modo originale e difficilmente imitabile che il prof. Spaemann ha di fare filosofia e più ampiamente di pensare e di procedere - ha affermato il card. Ruini -. Egli si muove dal di dentro del pensiero sia antico che moderno”, non con intenzioni puramente storiche, ma tendendo alla ricerca della verità delle cose e, inseparabilmente, alla promozione della vita buona e della persona umana.

“La critica di Spaemann alla cultura contemporanea – ha aggiunto il porporato - non è solo esterna, ma scaturisce dal di dentro della cultura di oggi, poiché è in grado di indicare delle piste per il superamento delle difficoltà nelle quali la civiltà attuale si trova impantanata. Si tratta di un superamento non attraverso un’impossibile rifiuto e del mondo di oggi, bensì attraverso il rinnovamento delle sue radici più autentiche”.

La questione del finalismo fa parte dei problemi fondamentali della comprensione dell’uomo ma anche di quella dell’intera realtà, poiché la sua spontanea affermazione è connaturata all’uomo, che è sempre alla ricerca di fini. In definitiva Spaemann approda, secondo il card. Ruini, alla critica della ragione positivista, il cui primo limite riguarda la conoscenza dell’essere, mentre il secondo si trova nella capacità di cogliere nel comportamento umano dei criteri sensati di orientamento, negando che la realtà del mondo abbia un senso intrinseco.

Approfondendo le tematiche affrontate nel suo libro, il professor Spaemann ha risposto per Zenit alle seguenti domande.

Come è possibile rendere attuale e ragionevole nella società contemporanea la categoria di finalismo e come spezzare la cosiddetta inversione della teleologia?

Spaemann: Noi dobbiamo mostrare che scienza e teleologia sono molto compatibili. Ad esempio, una volta compreso che il polmone è un qualcosa che serve a respirare, sono arrivato ad un dato di fatto importante, ma l’altra domanda è: come funziona? La risposta può essere offerta considerando il punto di vista chimico o fisico. Comunque sia, essa è una risposta corretta ma non sufficiente: entrambi i punti di vista sono tra loro complementari.

Può essere conciliata la ricerca di un fine nella natura con il desiderio dell’uomo che essa sia sottomessa al proprio potere?

Spaemann: Il fine o telos è il bene comune, e l’uomo è re nel suo regno, dunque egli è preposto a salvaguardare questo bene. L’uomo non dovrebbe comportarsi da despota ma da re, in modo tale da ricercare il bene comune e da curarsi di tutta la creazione, non di opporsi ad essa.

ROMA, Friday, 11 January 2013 (Zenit.org).

 

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