Novità - Segnalazioni e riconoscimenti

Pubblicata in Canada la prima Bibbia in lingua eschimese

di Maria Teresa Pontara Pederiva

Quanti si sono trovati spiazzati al sentire nel Vangelo di Luca Gesù che dice “Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto … quale padre  tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe? O se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione?”. Difficile immaginare di confondere un uovo con uno scorpione, ma una è la specie italiana, altra quella che troviamo in zone desertiche, dove il corpo è chiaro e rotondeggiante, ovoidale appunto.

Immaginate tra qualche anno, pressoché scomparsa in vaste aree del pianeta la cultura agricola e contadina, ma anche quella della pesca a carattere familiare, chi saprà realizzare cosa significhi separare il grano dalla zizzania, seminare di buon’ora, gettare la rete al largo, o chiudere il recinto delle pecore e via di questo passo.

E’ il problema precedente all’inculturazione del Vangelo: la sua lettura e comprensione all’interno di un mondo che cambia e che non è più quello di duemila anni fa. E allora provate ad immaginare cosa può capire di pecore, grano, vite e tralci chi è sempre vissuto tra i ghiacci artici e al pastore delle pecore deve associare tutt’al più il custode di una muta di cani da slitta?

E’ quanto hanno pensato alla Canadian Bible Society che in queste settimana ha pubblicato la prima traduzione in lingua inuktitut della Bibbia, il libro più tradotto del mondo. L’inuktitut è la lingua del popolo inuit, o almeno quella più diffusa tra gli eschimesi della zona artica canadese, parlata ancora, secondo una stima recente, da circa 33 mila persone nei territori a nord del Quebec - una regione vasta come 15 volte la Gran Bretagna, dove la chiesa anglicana conta la diocesi più estesa del mondo - rimasta lingua orale per migliaia di anni finché un missionario anglicano, Edmund Peck, ne ha introdotto una versione scritta verso la fine del XIX secolo.

L’attuale traduzione integrale della Bibbia segue quella del solo Nuovo Testamento pubblicata nel 1991. Coordinatore del progetto, e anche traduttore insieme a don Jonah Allooloo, è stato il vescovo emerito Benjamin Arreak.

Seguendo le moderne teorie la scelta è stata quella di superare la traduzione letterale – non più accettata dagli esperti accademici – per scegliere una versione secondo l’ottica “funzionale”. Non traduzione di termini “alla lettera”, ma la trasmissione del significato dell’espressione, così da farsi capire innestandosi nella cultura di un popolo mentre si procede col racconto biblico.

Un’impresa non facile, ma assai richiesta dai fedeli, dicono gli estensori. Certo che indicare termini come cammello, pecore, capre, o anche solo alberi come il sicomoro o il melograno, a gente che per chilometri vede solo estensioni di ghiaccio e neve non è così immediato.  Eppure associando il pastore al custode della muta o un frutto ad un sapore simile e via dicendo sembrano esserci riusciti.

E pensare che la Nuova Traduzione del Messale inglese cattolico ha seguito esattamente il processo inverso, nell’ottica di una traduzione alla lettera il più fedele possibile al testo latino. Un’altra differenza tra le chiese.

 

www.vaticaninsider.lastampa.it  -  Roma 11/05/2012

 

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