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Don Balducchi: no a impunità,

ma cammini di riconciliazione alternativi

 

“Giustizia: pena o riconciliazione. Liberi per liberare”, questo il tema scelto per il Convegno nazionale dei cappellani delle carceri italiane, riuniti - da oggi e per tre giorni - a Sacrofano, nei pressi di Roma. Ad aprire i lavori nel pomeriggio sarà l’arcivescovo Giancarlo Maria Bregantini. Mercoledì mattina, nell'Aula Paolo VI in Vaticano, prima dell'udienza generale, l'incontro dei partecipanti al convegno con Papa Francesco.

Roberta Gisotti ha intervistato don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani d’Italia:

 

D. - Don Virgilio quale messaggio è sotteso al titolo del Convegno, che arriva in un periodo davvero critico per il sistema penitenziario in Italia?

R. - Il messaggio centrale che vogliamo dare è che si può trovare il modo per amministrare la giustizia senza porre la pena ‘carcere’ al centro di tutto, ma che si possono percorrere cammini di riconciliazione tra le vittime dei reati e coloro che hanno commesso il reato. La nostra intenzione, il nostro sforzo è quello di fare in modo che il messaggio di riconciliazione, che ci arriva dall’insegnamento di Gesù Cristo, trovi formule condivise anche nella società civile; questo per fare in modo che le persone riparino al danno fatto senza passaggi pesantissimi all’interno delle carceri. Questo non è facilissimo, perché in ogni caso occorre una capacità culturale che la società deve ancora costruire ma d’altronde anche il messaggio dato dal presidente Napolitano va in questo senso, quando parla di affidamenti sociali, pene sul territorio, riparazione sociale e quando in questo momento parla anche di indulto e di amnistia.

D. – Capacità culturale ma anche strutture adeguate...

R. – Sì, anche strutture adeguate. Le strutture di accoglienza in parte sono già presenti sul territorio: solo i cappellani – in un’indagine che abbiamo fatto in questo periodo – hanno su tutto il territorio una settantina di luoghi di accoglienza che hanno ospitato nel 2012 circa mille persone. Allora, se si investe di più – come giustamente Napolitano ha ricordato quando ha parlato di indulto e di amnistia – sicuramente sul territorio ci sono strutture che possono accogliere anche di più: quelle della Caritas, di Migrantes, e di altri organismi o istituti religiosi che sarebbero anche disponibili a costruire un rapporto di accoglienza. Una sfida che come comunità cristiana credo possiamo accogliere; in parte lo facciamo già ma in parte la dobbiamo ancora recepire.

D. – Sappiamo che le carceri italiane soffrono di un problema drammatico, quello del sovraffollamento; ma quando poi si parla di indulti ed amnistia per risolvere questo problema la gente comune pensa ad una sorta di impunità per il reato...

R. – Questa è la sfida che noi dobbiamo accogliere, nel senso che non si tratta di impunità, ma di scontare la propria pena in un modo più responsabile. Chi è in carcere non fa che perdere tempo, non ripara niente ma ha soltanto dei giorni di non-libertà. Questo non implica che poi nella società ci siano ‘cammini di giustizia’ sia nei confronti delle persone che hanno subito reati, sia complessivamente nei confronti della società perché quando il male viene commesso colpisce un po’ tutti. Dove si sono sperimentati percorsi in cui le persone detenute sono uscite sul territorio ed hanno dato un contributo positivo - magari alla sistemazione di un sentiero, all’aiuto nelle mense della Caritas, o cose di questo tipo... - la gente ha cambiato parere...

D. – Si tratta, quindi, anzitutto di censire le strutture e le esperienze che sono già attive, e di valorizzarle e sostenerle da parte dello Stato...

R. – Sì. Naturalmente anche da parte delle comunità cristiane perché all’inizio la difficoltà c’è.

D. – Non bisogna quindi avere paura di percorrere cammini alternativi al carcere tradizionale...

R. – Esatto, perché questo fa cambiare anche il parere della gente. www.radiovaticana.org

 

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