Novità - Eventi di rilievo

di Roberto Catalano
Città Nuova

 

Il Kaiciid riunisce rappresentati buddhisti, cristiani, ebrei, indù e musulmani e propone di introdurre la Regola d’oro nei programmi educativi di scuole elementari e medie per promuovere la formazione al rispetto dell’altro, sia come individuo che come comunità, e prevenire i conflitti interreligiosi.

La proposta, inusitata e ardita allo stesso tempo, viene da Ato Mulugeta Wodaje, ministro degli Affari federali dell’Etiopia, intervenuto al termine della mattinata conclusiva della Conferenza organizzata a Vienna dal King Abdullah Bin Abdulaziz international centre for interreligious and intercultural dialogue (Kaiciid). Si tratta del Centro internazionale per il dialogo interreligioso e culturale fondato per iniziativa di Arabia Saudita, Spagna e Austria, che vede anche il ruolo importante della Santa Sede come organismo fondatore, anche se a livello di osservatore.

L’idea del ministro etiope è quella di tradurre in programmi e azioni politiche la frase comune a tutte le religioni "Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te" e questa non è stata l’unica iniziativa coraggiosa, accanto ad altre più scontate. Anche Bilkay Öney, nata in Turchia e oggi ministro per l’Integrazione nello Stato federale del Baden-Wüttemburg, in Germania, ha parlato della necessità concreta di programmi scolastici che contribuiscano a formare le nuove generazioni a un approccio diverso nei confronti di coloro che provengono da altre etnie, culture e religioni. A questo proposito invita i politici a una maggiore flessibilità di fronte a scelte politiche e prospettive future. Sono due delle molte voci che si sono espresse in questi due giorni a Vienna con efficacia diversa, ma ugualmente improntate a un impegno a guardare al futuro non solo da un punto di vista politico, ma anche religioso e educativo.

La conferenza di Vienna, intitolata "The image of the other (L’immagine dell’altro)", ha rappresentato la prima iniziativa, a livello globale, del Kaiciid, nato al termine di un processo che un'elegante pubblicazione, distribuita in questi giorni ai partecipanti al convegno, definisce come «un viaggio che ha richiesto molti anni dai suoi inizi nati dalla lungimiranza personale del re Abdullah Bin Abdulaziz». Il re saudita viene definito e citato non tanto come sovrano, ma nella qualità di «custode delle due sante moschee». Fu proprio da un suo incontro con Benedetto XVI – il 6 novembre 2007 – che prese forma concreta l’idea di un centro che mirasse a facilitare il dialogo interreligioso e interculturale fra i seguaci di ebraismo, cristianesimo e Islam e, in generale, «per la promozione della pace, della giustizia e di valori spirituali e morali, soprattutto a sostegno della famiglia». Benedetto XVI si mostrò favorevole all’iniziativa con un riferimento particolare all’impegno che le «nazioni e i popoli dovrebbero avere per sradicare il terrorismo». L’incontro fra i due leader ha incoraggiato il re saudita a convocare alla Mecca una conferenza con la partecipazione di rappresentanti dei Paesi musulmani per promuovere il dialogo.

La conferenza di Mecca ha dato il via alla scelta di promuovere il dialogo (Makkah Declaration cfr. www.kaiciid.org) e nel luglio del 2008 un secondo convegno a Madrid ha permesso il coinvolgimento attivo e propositivo di rappresentanti di Paesi dell’Occidente e di altre fedi. Sono stati questi passi preliminari che hanno portato all’apertura del Kaiciid nella capitale austriaca, dove è stato inaugurato poco meno di un anno fa, il 26 novembre 2012. (cfr. cittanuova.it).

Con un board of directors, che trova rappresentati buddhisti, cristiani, ebrei, indù, musulmani, il Kaiciid ha dato vita, in questi giorni, a un momento capace di mettere a confronto fra loro autorità di vari governi, protagonisti del dialogo interreligioso e interculturale ed operatori nel campo dell’educazione formale e informale. Sono stati due giorni di riflessione su un argomento fondamentale, in un’epoca come la nostra in cui stereotipi ed etichette, spesso anche sui testi scolastici o comunque nell’immaginario comune trasmesso da famiglia, insegnati e media, tendono a stigmatizzare chi appartiene a un’altra comunità.

La conferenza di Vienna è stata preparata da altri 4 convegni continentali: Vienna, Buenos Aires, Addis Abeba e New Delhi, dove sono emerse le criticità a livello dei continenti. Rappresentanti dei Paesi fondatori sono intervenuti per offrire da subito riflessioni mirate nella prospettiva religiosa. Il card. Jean-Luois Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, oltre che portare gli auguri di papa Francesco, ha sottolineato alcuni punti fondanti del dialogo interreligioso.

«Il dialogo interreligioso insegna ad essere attenti a non dare delle altre religioni un’immagine negativa in luoghi come le scuole e le università, attraverso i mass media, o soprattutto nei discorsi religiosi. Ci insegna a non sminuire le convinzioni religiose degli altri, soprattutto in loro assenza. Ci insegna a considerare la diversità in tutti i suoi aspetti, che sia etnica, culturale o di vedute, come una ricchezza e non come una minaccia».

Il rappresentante della Santa Sede ha inoltre testimoniato come  il dialogo interreligioso «spinga ad ascoltare e a conoscere meglio l’altro, a pensare prima di giudicare e a presentare il contenuto della nostra fede e le nostre ragioni per poter vivere con gentilezza e rispetto». Il frutto di questi atteggiamenti, ha ricordato ancora Tauran, è contribuire a ridare a Dio il luogo che merita, ispirando il valore della fraternità, assicurando la saggezza e il coraggio, aspetti imprescindibile per poter passare dal pensiero e dalle parole all’agire.

Colpisce anche quanto ha affermato il Dr. Sammak, musulmano libanese, che non ha avuto timore di riconoscere come i rapporti fra le religioni siano fragili e vulnerabili. «Il dialogo è l’arte di cercare la verità nel punto di vista dell’altro – afferma Sammak –. Il mondo oggi non è più diviso in blocchi, ma ha un volto multiplo e mette in evidenza le varie differenze».

Nei due giorni di lavoro si sono alternati momenti di carattere istituzionale con interventi di amministratori di vari Paesi, coinvolti nelle politiche educative dei rispetti governi, a workshop che hanno dato voce a ciascuno dei partecipanti nell’affrontare i nodi – e sono molti – ancora legati all’immagine di chi non è come noi. Il convegno ha dato una chiara coscienza di quanto ancora ci sia da fare di fronte all’incontro-scontro provocato soprattutto dai flussi migratori. Ma ha anche fornito una mappa dell’impegno di singoli, gruppi, governi locali e nazionali alla trasformazione dei processi educativi verso la scoperta dell’altro come di un altro me.

 

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