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Udienza per il 50enario del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica (Pisai): «Avvicinarsi all’altro in punta di piedi senza alzare la polvere che annebbia la vista»

di Iacopo Scaramuzzi

Papa Francesco è tornato ad affrontare il tema del dialogo con i musulmani, dopo i recenti attentati di Parigi, in occasione dell’udienza che ha concesso stamane al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica in occasione del 50mo anniversario dell’apertura a Roma dell’istituto fondato dalla Società dei missionari d’Africa (i “padri bianchi”), sottolineando che «forse mai come ora si avverte tale bisogno, perché l’antidoto più efficace contro ogni forma di violenza è l’educazione alla scoperta e all’accettazione della differenza come ricchezza e fecondità».

«Negli ultimi anni, nonostante alcune incomprensioni e difficoltà, sono stati fatti passi in avanti nel dialogo interreligioso, anche con i fedeli dell’Islam», ha detto Jorge Mario Bergoglio. «Per questo è essenziale l’esercizio dell’ascolto. Esso non è soltanto una condizione necessaria in un processo di reciproca comprensione e di pacifica convivenza, ma è anche un dovere pedagogico al fine di essere – ha proseguito Papa Francesco citando la sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium – capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare emergere le convinzioni comuni». Presenti all’udienza sia il cardinale Zenon Grocholewski, che in quanto prefetto della congregazione per l’educazione cattolica è il responsabile della Curia romana per il Pisai, sia il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il Dialogo interreligioso. Per il 50esimo anniversario del Pisai si è svolto in questi giorni alla Pontificia università Urbaniana un convegno intitolato «Studiare e comprendere la religione dell’altro».

I cinquant’anni del Pisai a Roma – «dopo la sua nascita e i primi sviluppi in Tunisia, grazie alla grande opera dei Missionari d’Africa» – «dimostrano – ha sottolineato il Papa – quanto la Chiesa universale, nel clima di rinnovamento post-conciliare, abbia compreso l’incombente necessità di un istituto esplicitamente dedicato alla ricerca e alla formazione di operatori del dialogo con i musulmani. Forse mai come ora si avverte tale bisogno, perché l’antidoto più efficace contro ogni forma di violenza è l’educazione alla scoperta e all’accettazione della differenza come ricchezza e fecondità».

Il dialogo islamo-cristiano «esige pazienza e umiltà che  accompagnano uno studio approfondito, poiché l’approssimazione e l’improvvisazione possono essere controproducenti o, addirittura, causa di disagio e imbarazzo. C’è bisogno di un impegno duraturo e continuo al fine di non farci cogliere impreparati nelle diverse situazioni e nei differenti contesti. Per questa ragione si esige una preparazione specifica, che non si limiti all’analisi sociologica, ma abbia le caratteristiche di un cammino tra persone appartenenti alle religioni che, pur in modi diversi, si rifanno alla paternità spirituale di Abramo», ha detto ancora Bergoglio. Sottolineando che base del dialogo è «un’adeguata formazione affinché, saldi nella propria identità, si possa crescere nella conoscenza reciproca», Francesco ha sottolineato, sempre citando la Evangelii Gaudium, che «bisogna fare attenzione a non cadere nei lacci di un sincretismo conciliante ma, alla fine vuoto e foriero di un totalitarismo senza valori». E’ necessario, pertanto, «tornare ai fondamenti»: «Quando ci accostiamo ad una persona che professa con convinzione la propria religione, la sua testimonianza e il suo pensiero ci interpellano e ci portano ad interrogarci sulla nostra stessa spiritualità. Al principio del dialogo c’è, dunque, l’incontro. Da esso si genera la prima conoscenza dell’altro. Se, infatti, si parte dal presupposto della comune appartenenza alla natura umana, si possono superare i pregiudizi e le falsità e si può iniziare a comprendere l’altro secondo una prospettiva nuova».

Questa è la missione del Pisai, ha detto il Papa, che ha notato come «il lavoro accademico, frutto di quotidiana fatica, va ad indagare le fonti, a colmare le lacune, ad analizzare l’etimologia, a proporre un’ermeneutica del dialogo e, attraverso un approccio scientifico ispirato allo stupore e alla meraviglia, è capace di non perdere la bussola del mutuo rispetto e della stima reciproca. Con queste premesse, ci si avvicina all’altro in punta di piedi senza alzare la polvere che annebbia la vista». L’istituto con sede a viale Trastevere «è molto prezioso tra le istituzioni accademiche della Santa Sede, e ha bisogno di essere ancora più conosciuto», diventando «sempre più un punto di riferimento per la formazione dei cristiani che operano nel campo del dialogo interreligioso, sotto l’egida della Congregazione per l’Educazione Cattolica e in stretta collaborazione con il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso», instaurando «una fruttuosa collaborazione con gli altri Atenei pontifici, con i centri di studio e ricerca, sia cristiani che musulmani, sparsi in tutto il mondo» e senza «tradire mai il compito primario dell’ascolto e del dialogo, fondato su identità chiare, sulla ricerca appassionata, paziente e rigorosa della verità e della bellezza, sparse dal Creatore nel cuore di ogni uomo e donna e realmente visibili in ogni autentica espressione religiosa».

http://vaticaninsider.lastampa.it

 

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