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E’ certamente buon esercizio di memoria storica rileggere come in filigrana, in questi giorni di pandemia in cui infuria il coronavirus, o covid-19 che dir si voglia, il capitolo XXXI dei Promessi Sposi in cui Alessandro Manzoni colloca nel suo romanzo le tristi vicende che, dall'autunno 1629 al maggio 1630, tra Milano, Lecco e altri territori, vedono il diffondersi della peste.

 

Tanti passaggi accomunano “quella” peste a “questa” pandemia, con i dovuti distinguo ovvio: negligenza e incuria iniziali delle pubbliche autorità nel cercare di arginare il contagio; la peste entra a Milano e si diffonde lentamente in città tra lo scetticismo della popolazione che non crede alle cause dell'epidemia e accusa i medici. Il contagio che si diffonde e le autorità che faticano ad affrontare la situazione. Il lazzaretto è affidato ai cappuccini, nella persona di Felice Casati e Michele Pozzobenelli, che si prodigano per i malati, seguiti da tanti altri frati.

La storia cappuccina, in ogni dove, ha scritto pagine gloriose per il servizio prestato dai frati in tempi di epidemie. Non a caso, i cappuccini, oltre a essere indicati come “I frati del popolo”, sono stati pure etichettati come “i frati della peste e del fuoco”, con il richiamo al ruolo di vigili del fuoco che esercitavano a Parigi, per esempio.

Non senza emozione si legge la richiesta fatta da Paolo (Bellintani) da Salò, autore del celebre Dialogo della peste, al padre “Commissario dei frati Cappuccini di Milano”, di essere mandato a servire gli appestati: “[…] mi getto prostrato avanti sua Reverentia pregandola et suplicandola che mi voglia concedere questa gratia di puotermene andare a exercitare un tanto e tale ufficio […], perché come ben sapeti, l’amar il prossimo, è de Jure divino”.

Purtroppo i tempi sono cambiati e anche i frati cappuccini hanno dovuto pagare, come tutti del resto, alla pandemia in corso, in diversi conventi soprattutto nel Nord Italia, un prezzo personale piuttosto elevato.

Tuttavia, anche in questo periodo di quarantena, i poveri di Milano, Bergamo e di altre località, hanno potuto lo stesso presentarsi alle mense gestite dai frati, sia pure nelle modalità richieste dalla legge e, soprattutto negli ospedali e case di cura, la “fantasia della carità dei frati” non si è lasciata scoraggiare dalla paura del contagio.

Questi atteggiamenti di attenzione dei frati cappuccini, nei confronti delle vittime di questa pandemia, nella tradizione ininterrotta di carità dell’Ordine, non è certo sfuggita agli organi di stampa che qua e là ne hanno dato notizia.

Mentre, come tutti, attendiamo la fine di questa terribile e misteriosa pandemia, ci associamo all’auspicio supplichevole che il ministro provinciale dei cappuccini di Lombardia, fra Angelo Borghino, ha espresso nella sua ultima lettera circolare dello scorso 22 marzo: Vorrei che il Signore ci risparmiasse lacrime per i nostri frati!”, nella certezza di essere esauditi.

fra  Giovanni Spagnolo

 

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