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Il disagio abitativo e l’emergenza sociale da esso scaturita sono una questione seria e le ultime statistiche riportano che – in Italia – la stessa riguarda 1 milione e 475mila nuclei familiari, oltre il 5% del totale. Di queste 783 mila in disagio acuto e 692 mila con disagio grave. Tale emergenza ha visto le diverse Caritas diocesane agire con varie strategie e progettualità al fine di alleviare le sofferenze conseguenti a questa problematica molto grave.

L’esperienza di Reggio Emilia

La Caritas di Reggio Emilia – Guastalla negli ultimi anni – in sinergia con altri soggetti ed enti del territorio, quali ad esempio i frati cappuccini – ha dato vita a diverse iniziative volte ad accogliere le persone con fragilità in condizione di disagio abitativo. Una di queste è la Locanda San Francesco, un condominio di housing sociale che sorge nel cuore di Reggio Emilia, in quello che – fino al 2015 – era il museo dei cappuccini della città ed attualmente ospita oltre 30 posti letto disposti su più piani. In nome della stessa richiama appunto il Santo di Assisi che scopri la propria vocazione proprio a partire dagli ultimi. Interris.it, in merito a questa esperienza di inclusione e solidarietà, ha intervistato Elisa Nicoli, responsabile delle Opere Segno della Caritas diocesana di Reggio Emilia.

Particolare dalla “Predica degli uccelli” di Giotto nella basilica superiore di San Francesco ad Assisi

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L’intervista

Come nasce e che obiettivi si pone Locanda San Francesco?

“Locanda San Francesco nasce dalla collaborazione con i frati cappuccini che hanno scelto di trasformare quello che era un museo in un luogo di accoglienza per le persone in stato di povertà. Hanno chiesto ed affidato alla Caritas diocesana tale struttura proprio con il mandato di essere accanto ai più fragili. La ristrutturazione dell’edificio è stata effettuata a carico dei frati cappuccini e noi – insieme a loro – abbiamo costruito questo progetto che chiamiamo condominio solidale. Lo stesso ha la finalità di dare un’opportunità alle persone che vivono una difficoltà abitativa ed un momento di solitudine, di essere un luogo di ristoro dove curare le proprie ferite e riprendere la propria strada; tale è il senso generale di questo luogo di accoglienza”.

Quali sono gli aiuti che date alle persone che si rivolgono a voi? In che modo la pandemia ha mutato il vostro operato?

“Ci mettiamo a disposizione delle persone che decidono di camminare con noi, nel senso che – la Caritas diocesana – ha fatto la scelta di fondo nelle tre locande di accoglienza che abbiamo. In particolare, di mettersi a disposizione delle persone le quali non hanno nessuno e che quindi magari, per le proprie caratteristiche, non hanno diritto di accesso ai servizi sociali per le questioni relative alla regolarità dei documenti nonché al diritto di cittadinanza, il provare a costruire con loro un cammino di emancipazione dal proprio stato di povertà e ricostruzione delle reti familiari e di amicizia. Pertanto, noi mettiamo a disposizione un educatore che segue la quotidianità delle persone per un periodo che decidiamo insieme, un operatore del centro di ascolto diocesano, il quale cura maggiormente la parte progettuale – ossia prova a facilitare i passaggi burocratici e costruire delle reti al fine di aiutare le persone a riprendere le loro autonomie e la propria vita in mano. Attiviamo dei volontari per facilitare una rete di amicizia sociale su cui potersi appoggiare e trovarsi in una vita che richiama quella di tutti noi. Proviamo veramente a sostenere il percorso delle persone da ciò di cui più hanno bisogno. Quindi vi può essere: l’iscrizione alla scuola di italiano per stranieri che faticano con la lingua, perciò nel sostenerli nello svolgimento dei compiti, incentivare i momenti di socializzazione per l’apprendimento della lingua, il sostegno nella ricerca lavorativa preparandoli ai colloqui di lavoro e cercando luoghi ove portare il curriculum. Oltre a ciò, facilitano le relazioni con i servizi sociali per evitare che si creino incomprensioni ed ostacoli difficili da sormontare. Ci mettiamo al loro servizio, questa è la nostra ottica. La pandemia da Covid-19 non ci ha aiutato, perché chiaramente gli operatori non sono potuti entrare nella struttura nel periodo di chiusura più ampia dettato dall’emergenza; però abbiamo mantenuto comunque dei contatti telefonici costanti e videochiamate. La nostra minore presenza in quel periodo ha facilitato delle relazioni di auto mutuo aiuto all’interno della Locanda e quindi gli ospiti si sono sostenuti tra di loro e aiutati, creando un buon clima di solidarietà”.

Quali sono i vostri auspici per il futuro in merito allo sviluppo di Locanda San Francesco? In che modo chi lo desidera può aiutare la vostra opera?

“Il nostro auspicio è che – le persone, le quali sono ospitate nelle nostre strutture riescano a camminare da sole, non abbiano più bisogno di noi ma si mantenga una relazione di amicizia in un cammino di autonomia. Non ci auguriamo di aumentare il numero delle persone che accogliamo perché – la nostra scelta – è quella di focalizzarci su percorsi con piccoli numeri con l’obiettivo di stare accanto alle persone più a fondo. Se qualcuno ha voglia di sostenerci può farlo sia sul piano economico facendo una donazione diretta ai canali ufficiali, mentre invece – se sono persone del territorio che hanno voglia di conoscere la nostra realtà – possono contattarci per capire se, nel loro tempo di vita, c’è uno spazio da dedicare alle persone che noi accogliamo”.

(fonte: https://www.interris.it/la-voce-degli-ultimi/nicoli-caritas-reggio-emilia-guastalla-disposizione-chi-sceglie-camminare-con-noi/)

 

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