Novità - Eventi di rilievo

Per uno di quei piani provvidenziali, che a volte si verificano a nostra insaputa e che sono destinati a passare alla storia, le esequie del missionario laico palermitano Biagio Conte, fondatore dell’imponente opera caritativa “Missione di Speranza e Carità”, destinata agli ultimi, ai migranti, ai frantumati della vita di ogni nazionalità e religione, sono coincise, sempre a Palermo, con la cattura del trentennale latitante Matteo Messina Denaro, pupillo di Totò Riina, pluriomicida e mente delle stragi più efferate degli anni ’90 che hanno seminato morte e distruzione.

Una coincidenza quella di “due vite che non potrebbero essere più radicalmente diverse nelle scelte” che non è sfuggita a tanti per affermare, come ha fatto il sociologo palermitano Vincenzo Ceruso, che “questa terra [la Sicilia] non è una terra irredimibile, accanto alla via del male c’è il bene” e che “questi sono giorni di speranza”.

I media, non solo quelli italiani, hanno riservato grande attenzione alla vicenda di questo giovane aitante e dagli occhi azzurri come il cielo di Sicilia, Biagio Conte che, pur avendo tutto, si è messo alla ricerca di quel qualcosa che gli mancava per essere felice, per scoprire alla fine che il qualcosa era Qualcuno che prendeva la carne del povero.

E così la sua vicenda biografica si è dipanata specularmente su quella di Francesco d’Assisi, il Poverello per antonomasia che, nel suo tempo, fu narrazione vivente di vangelo sine glossa e che ha avuto l’utopia, diventata realtà, di mettere al centro del vissuto ecclesiale e sociale i poveri, i lebbrosi, gli scartati e gli emarginati.

Diversi passaggi dell’omelia in forma di preghiera che l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, ha pronunciato commosso durante le esequie, hanno richiamato apertamente la somiglianza del missionario laico Biagio con san Francesco:  “Fratel Biagio aveva compreso e viveva il «Deus meus et omnia (Mio Dio e mio Tutto)» che risuonava sulle labbra di Francesco di Assisi (cfr Bartolomeo da Pisa, De Conformitate Vitæ). Novello cantore di una povertà che è fiducia totale in te e condivisione con le vittime della “cultura dello scarto” (Papa Francesco). A Fratel Biagio hai dato il triplice dono di vivere da povero, di vivere con i poveri e di vivere per i poveri”.

E ancora: “Padre, noi abbiamo anche visto piangere Fratel Biagio. Fa’ che possiamo rimanere anche noi turbati perché ‘l’Amore non è amato’ e avere lacrime come le sue. Come quelle dell’umile Frate d’Assisi che diceva: ‘Piango la passione del mio Signore. Per amore di lui non dovrei vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo’ (FF, 1413)”.

Non è passata inoltre inosservata la vera e propria folla oceanica, calcolata in diecimila persone, non solo palermitane, che hanno seguito prima la salma di fratel Biagio, in devota e orante processione, dal suo quartiere generale di via Decollati, dove è serenamente spirato il 12 gennaio, fino in Cattedrale dove sono state celebrate le esequie.

Ed è a questo punto che si impone un altro richiamo “provvidenziale”, che bene s’inscrive nella parabola biografica del missionario laico che “non si è mai abituato allo scandalo della povertà” (card. Zuppi), e cioè il confronto con un altro grande santo amante dei poveri, vissuto nella Palermo del Seicento, e cioè il frate cappuccino certamente conosciuto da Biagio Conte: Bernardo da Corleone (1605-1667).

Non a caso, il 12 gennaio è memoria liturgica di san Bernardo da Corleone, perché proprio in quel giorno, nell’Infermeria che i Cappuccini avevano in città di fronte alla Cattedrale, il frate amato da tutti e padre dei poveri, rendeva la sua anima a Dio a 62 anni. E anche per lui, come ai nostri giorni per Biagio, fu marea di popolo ad accompagnarlo dall’Infermeria di città al convento dei Cappuccini fuori Porta Nuova per il funerale.

I Processi per la beatificazione e canonizzazione del cappuccino corleonese non lasciano dubbi: vi leggiamo, infatti, che alla sua morte una moltitudine di gente, “così nobili, come plebei ed ecclesiastici ancora” accorse a vedere per l’ultima volta il fratello buono e il rimpianto per la sua scomparsa fu generale, “principalmente in Corleone”.

Sappiamo inoltre, sempre dai Processi, che fu tale la ressa che si formò attorno all’Infermeria, per la bramosia di avere una qualche pur minima reliquia del santo cappuccino che il padre provinciale, Francesco da Mazzara, dovette chiedere la guardia del viceré per ristabilire l’ordine pubblico in attesa del trasporto in convento per la sepoltura.

Nelle prime ore del 13 gennaio 1667 cominciò, tra una ressa di popolo, la processione che doveva accompagnare al convento il corpo di fra Bernardo per le esequie. Ma ci vollero non meno di due ore prima che il corteo potesse lasciare ordinatamente l’Infermeria, scortato dagli “alabardieri di Sua Eccellenza”.

Il corteo fece una sosta sotto il palazzo arcivescovile dove, da un balcone centrale, l’arcivescovo di Palermo, Pietro Martinez Rubeo, e quello di Monreale, Aloisio de Los Cameros, che avevano goduto della preghiera e del consiglio di fra Bernardo, impartirono devotamente l’assoluzione alla salma.

Possiamo certamente concludere, da questo fare sintesi di alcune coincidenze, o meglio Deincidenze, che il cammino di santità, intrapreso dal giovane Biagio Conte e portato avanti per un trentennio, ha avuto come compagni di viaggio Francesco d’Assisi e Bernardo da Corleone, fino a formare i volti di un Amore unico che ha abitato nei poveri di ogni tempo, che sono, secondo l’intuizione profetica del vescovo Antonio Bello, “il luogo teologico dove Dio si manifesta e il roveto ardente e inconsumabile da cui Egli ci parla”.

Giovanni Spagnolo

 

Questo sito fa uso di cookie per migliorare l’esperienza di navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’utilizzo del sito stesso. Può conoscere i dettagli consultando la nostra privacy policy qui. Proseguendo nella navigazione si accetta l’uso dei cookie; in caso contrario è possibile abbandonare il sito.index.php">privacy policy.

-
EU Cookie Directive plugin by www.channeldigital.co.uk