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La sua vita

Chiara nasce da "assai nobile stirpe": il padre era un  miles, un cavaliere-guerriero, e tutta la sua famiglia apparteneva alla nobiltà cavalleresca, i Maiores.

Perciò, a differenza di Francesco, non proveniva dai nuovi ceti emergenti (homines populi), ma faceva parte del gruppo, che li ostacolò.

Il padre di Chiara, Favarone, che morì quando Chiara era molto piccola, apparteneva alla famiglia degli Offreduccio, che una tradizione afferma discendere addirittura da Carlo Magno. A capo di questa famiglia era lo zio, Monaldo, probabilmente il primogenito: attorno a lui i fratelli, ognuno con i suoi possedimenti, i suoi uomini, le mogli, i figli. Era un gruppo familiare molto compatto, rigidamente organizzato attorno alla linea di discendenza maschile.

La casa, in cui nacque Chiara, era la tipica domus aristocratica, situata in una posizione di particolare rilevanza urbanistica, nei pressi della chiesa di S. Rufino, che rappresentava il centro aristocratico della città. Era più simile ad un castello rurale adatto alla difesa, che non ad una abitazione di residenza urbana: un'unica porta, ben difesa dagli uomini d'arme della famiglia, era concepita per rispondere ad eventuali assalti armati.

 Nella struttura della casa vi era uno spazio riservato solo alle donne. Qui, nel 1193 o 1194, Chiara venne alla luce e visse i primi anni della sua vita a contatto esclusivamente con donne (aveva delle sorelle: Caterina, Beatrice, Penenda). Tra tutte queste, quella che certamente esercitò maggiore influenza su di lei fu la madre Ortolana.

Di statura forte, coraggiosa, creativa, affascinante, dotata di rara affettività umana e materna, aperta ad ogni amore buono e bello, sia verso Dio che verso gli uomini e le creatura tutte, Chiara si rivela veramente una "signora" unica e inconfondibile

L'esilio

1200 La famiglia di Chiara lascia Assisi, per rifugiarsi, insieme ad altri nobili, nella sicura Perugia, in seguito alla guerra che aveva opposto le due fazioni di Assisi: Maiores e Minores.

Le dimore patrizie vennero messe al sacco dai Minores, perciò Monaldo, Favarone e il fratello Scipione si trasferirono a Perugia, dove Chiara rimase sino al 1210. Qui trovò sicuramente molte delle famiglie aristocratiche di Assisi.

Di questo periodo non si sa nulla: certo é che, quando scelse di dare vita a una comunità religiosa di tipo nuovo, Chiara trovò, tra le prime e più fedeli compagne, proprio alcune delle giovani donne, che aveva conosciuto nel suo esilio perugino.

La  formazione culturale

In questa società guerriera, in cui la guerra era condizione di vita quotidiana, anche la cultura rifletteva uno spirito guerresco, che trovò modo di esprimersi, a partire dall'XI secolo, nella cultura cortese-cavalleresca.

È probabile che Chiara, come tutte le fanciulle di alto rango, ascoltasse i lunghi racconti degli amori di Isotta o della regina Ginevra, le gesta eroiche della Tavola rotonda, con protagonisti re Arturo, Carlo Magno e i principi Orlando e Lancillotto: anche lei, d'altra parte, era destinata a sposare un cavaliere.

Questi racconti avevano anche un intento pedagogico: le giovani donne, che formavano buona parte del pubblico dei giullari e trovatori, venivano così educate alla riservatezza e alla pudicizia, imparando ad accettare sia la reclusione, in cui vivevano, sia la prospettiva matrimoniale, per la quale venivano allevate.

La formazione culturale esigeva, inoltre, per le giovani donne nobili, l'imparare a leggere e scrivere. A tale scopo servivano, come testi, il Salterio e gli scritti (canzoni, romanze, storie) della cultura cavalleresca, popolare, giullaresca e trobadorica di tipo francese, di provenienza franco-belga e tedesca, molto diffusa anche in Italia.

Insieme ed accanto a questa cultura laica, Chiara conobbe la cultura agiografica: i racconti delle vite dei santi popolavano le giornate delle giovani del tempo. Anche i santi, come i cavalieri, erano degli eroi, che combattevano per il trionfo della fede e per il bene dei deboli.

Come una vera domina feudale, Chiara viveva chiusa all'interno del palazzo: non si metteva mai in mostra alla finestra, come facevano le altre donne della sua età e della sua condizione. Al Processo per la sua beatificazione si parlò spesso della sua fama di santità (publica fama), ancora prima della sua scelta di vita. 

1211. I parenti di Chiara vogliono farla sposare con un nobile, Ranieri di Bernardo. Ma lei rifiuta decisa: non solo é distaccata dagli avvenimenti politici e sociali del tempo, ma anche dalla mentalità che la vorrebbe maritare (Proc 18,2: FF 3132). Addirittura, a coloro che chiedono la sua mano, consiglia di dedicarsi alle opere spirituali.

È sorprendente come Chiara, rifiuti il matrimonio in un'epoca, in cui una donna nobile veniva allevata per questo. In questa sua scelta non possiamo escludere già una ricerca attiva, per collocarsi nel mondo in una forma particolare. Sin da bambina, dopo aver ricevuto dalla madre i primi rudimenti della fede, si fa conoscere per tre particolari virtù: la misericordia, la pratica della preghiera e la verginità.

Ancora bambina metteva da parte il cibo a lei destinato e lo mandava di nascosto ai poveri e ai lebbrosi  della sua città, che vivevano in condizioni di perenne carestia (LegC, 3: FF 3157-3158). Forse, in una di queste occasioni, inviò della carne a Francesco e ai suoi compagni, che lavoravano al restauro della Porziuncola.

Portava, sotto i vestiti importanti, una veste di stamigna, cioè di quella lana grezza, con cui erano fatte le vesti dei servi e dei poveri: era una dichiarazione di modestia, di mancanza di ricercatezza nel vestire.

Sorella

Chiara aveva circa 18 anni, quando compie la scelta definitiva, che condizionò tutta la sua vita.

Aveva 12 o 13 anni quando Francesco si era spogliato di ogni suo bene davanti al vescovo di Assisi, in una piazza poco distante dalla sua casa. Dovevano passare 5 o 6 anni prima che anche lei facesse la scelta di rompere con la famiglia e vivere secondo il Vangelo.

Incontro con Francesco

Quando Chiara conobbe Francesco? Chi prese l'iniziativa dei loro incontri?.

Secondo la sorella Agnese (Proc. 12,2: FF 3086), l'iniziativa la prese Francesco, che aveva sentito parlare della sua santità. Nel Testamento (TestsC 9: FF 2826) Chiara afferma che, quando Francesco "non aveva ancora né frati né compagni", mosso dallo Spirito Santo, intuì l'amicizia con Chiara e predisse l'avvento delle Povere Dame a S. Damiano (TestsC 11-14: FF 2826-2827).

 Secondo Tommaso da Celano e Bona di Guelfuccio, amica d'infanzia di Chiara e presente ai primi incontri tra lei e Francesco, fu invece Chiara a prendere l'iniziativa dei contatti (Proc. 17,3: FF 3125) (LegsC 5: FF 3162-3165): argomento di quegli incontri, che si svolgevano alla presenza di un'amica di Chiara e di frate Filippo Longo, pare fosse la maniera di vivere le sequela di Cristo in modo vivo e realistico. Lei aveva 18 anni, lui 29. Erano momenti di autentico discernimento: ognuno rivelava all'altro ciò che era. In Assisi, dove la "publica fama" aveva tanta importanza, l'amicizia tra il Poverello e la primogenita di una delle migliori famiglie della città fece sicuramente sorgere mormorazioni, non certo benevole.

Ma Francesco, in diverse occasioni, dimostrerà di non badare affatto al rischio e al peso del giudizio negativo della gente: era più sorpreso e impensierito dalle richieste di Chiara. Lei si preoccupa va, non tanto di salvare la sua buona reputazione, ma di evitare l'opposizione della famiglia, che avrebbe potuto impedirle di realizzare i suoi progetti.

Scelta definitiva

18 marzo 1211-1212, la notte della domenica delle Palme, d'intesa con Francesco, Chiara uscì da casa sua, per andare alla Porziuncola: i frati la attendevano con le torce accese, per indicarle la strada. Entrarono in chiesa, dove (LegsC 8: FF 3170-3172) si trattennero un momento in preghiera, poi lo stesso Francesco le tagliò i capelli, come segno di scelta di vita penitenziale.

Gesto anomalo, questo, perché Chiara non era una qualsiasi ragazza, avviata dai genitori alla vita monastica, e Francesco non era né un vescovo (cui normalmente era riservata la consacrazione delle fanciulle), e neppure un sacerdote: era un semplice laico. La tonsura segnò la definitività della sua scelta di vita penitenziale: una vita per il Signore, povero, umile, crocifisso.

Dopo questo gesto di scelta definitiva del Signore, viene condotta, da alcuni compagni di Francesco, al monastero di S. Paolo delle Abbadesse: era il più importante e ricco monastero benedettino della diocesi di Assisi.

Chiara si presentava come una povera: non aveva la dote, che normalmente si offriva ai monasteri, perché, prima di allontanarsi dalla casa paterna, aveva venduto i suoi beni e distribuito il ricavato ai poveri.

Chiara non era più una bambina, ma una giovane donna che sapeva quel che faceva. A quel tempo la maggiore età, per una donna di Assisi, era fissata prima dei 16 anni e Chiara dimostrava già spirito di iniziativa. Per compiere questa scelta, dovette superare diverse barriere, che la separavano dai poveri, da Francesco e dai suoi compagni.

Le barriere:

- della sua condizione sociale, che le impedivano il contatto con ambienti tanto diversi e non vedevano di buon occhio che una donna prendesse simili iniziative;

- del suo essere donna, alla quale la vita itinerante e non garantita dei primi compagni di Francesco era assolutamente interdetta.

Che una giovane donna potesse, da sola, superare tutto questo sembrava addirittura impossibile: la famiglia, con molta probabilità, diede la responsabilità di un simile scandalo a Francesco, cui attribuì tutta l'iniziativa.

Quando i parenti vennero a conoscenza della fuga, compatti corsero al monastero di S. Paolo e, alternando minacce e promesse, tentarono di farla recedere dalla sua decisione e far rientrare lo scandalo, che aveva provocato con la sua fuga.

Ma Chiara, che nel monastero aveva chiesto di essere accolta come serva (seguendo l'esempio di Francesco, il quale, dopo l'episodio della spoliazione, si era recato nella badia di S. Verecondo presso Gubbio, dove era rimasto parecchi giorni, facendo lo sguattero di cucina: 1Cel. 16: FF 347) resiste allo scontro violento con i familiari, che durò più giorni (LegsC. 9: FF 3173).

Era sola: le monache del monastero non si preoccuparono di difenderla, ribadendo solo il loro diritto di asilo; il vescovo Guido, sotto la cui protezione era il monastero, non volle opporsi ad una famiglia così potente; Francesco era lontano (se il 1211, stava cercando di raggiungere la Terra Santa; se il 1212, era a Roma) oppure si pensa che, per un periodo, non si volle assumere la responsabilità pastorale e religiosa di Chiara.

La sua resistenza fu straordinaria: la "publica fama" se ne impadronì e nacquero i racconti sulla forza straordinaria da lei dimostrata: per fuggire dalla casa paterna avrebbe sollevato, da sola, dei pesanti legni e spostato grosse pietre, che sbarravano l'uscita da una porta secondaria; avrebbe resistito allo scontro con i familiari, attaccandosi alle tovaglie dell'altare e scoprendosi il capo rasato.

 

 

 Madre

In questa fase della sua vita Chiara non sa ancora bene quale possa e debba essere la via, alla quale il Signore la chiama. Lascia S. Paolo delle Abbadesse e si reca presso la comunità di S. Angelo in Panzo: era un gruppo di donne religiose, che vivevano una vita di penitenza sulle pendici del monte Subasio e, senza professare una regola ufficialmente riconosciuta, vivevano delle elemosine dei passanti. Non si trattava di un monastero

L'elemento nuovo di questo periodo fu l'arrivo della sorella Agnese (Caterina), la quale, abbandonata la famiglia, raggiunse Chiara (LegsC 24-25: FF 3204-3205), che la accoglie con gioia, anche perché, a differenza di Francesco, sperava di avere delle compagne.

Questa volta la reazioni della famiglia furono ancora più violente: dodici uomini armati tentano di rapire Agnese, senza risparmiarle calci, percosse, violenze. La Leggenda dice che erano già riusciti a portarla lontano, quando, per intercessione delle preghiere di Chiara, il suo corpo si fece tanto pesante, che tutti gli uomini, insieme, non riuscirono più a sollevarlo.

 Lo zio Monaldo, preso da furore omicida, avrebbe tentato di colpirla, ma il suo braccio rimase a mezz'aria, colpito da un forte dolore.

Alla fine, anche Caterina ricevette la tonsura da Francesco e prese il nome di Agnese. Non molto tempo dopo si uniranno a loro la madre Ortolana, la sorella minore Beatrice e le nipoti Balvina, Agnese e Amata.

Neppure S. Angelo soddisfa Chiara: il tempo passato a S. Paolo e a S. Angelo fu, per Chiara, un periodo di prova, una specie di noviziato, cui lo stesso Francesco la sottopose, prima di accoglierla definitivamente nella fraternitas. Le aveva preparato, nel frattempo, una specie di alloggio, annesso alla chiesa di S. Damiano: qualcosa di semplice e povero, secondo il gusto di Chiara.

Qui lei si trasferirà, seguendo una prima regola, che Francesco diede alle sorelle. Non era una vera e propria regola, ma una raccolta di esortazioni, che il santo padre rivolgeva loro (RegsC 6,3-4: FF 2788; TestsC 30: FF 2834).

Da questo momento Chiara vivrà la fedeltà al Vangelo e si "legherà per obbedienza" a Francesco: con questo termine, a quel tempo, si esprimeva l'appartenenza al medesimo gruppo. Ma, per Chiara, questo significherà essere profondamente radicata e abbarbicata a Francesco. Per questo si definirà sempre la pianticella del padre santo (TestsC 48-49: FF 2842)

 

Gli inizi

Chiara diede vita ad una esperienza nuova, in comunione con Francesco e i suoi fratres, ma vivibile da parte di giovani donne come lei.

 

Le caratteristiche di questa nuova esperienza religiosa sono tre:

1 - la vita comune

2 - il "lavoro con le proprie mani".

3 - la scelta di povertà.

 

 

1 - La scelta di vita comune non era scontata: Chiara avrebbe potuto intraprendere la strada dell'eremitismo o della reclusione solitaria, ma fu sempre rivolta alla creazione di una comunità.

 2 - Il lavoro con le proprie mani rappresentò il desiderio di creare una comunità di preghiera vicina alle fatiche e ai problemi dei più poveri. Per Chiara il lavoro manuale é uno degli aspetti fondamentali della sua esperienza: continuò a lavorare sino agli ultimi giorni della sua vita, anche quando, a causa di una grave malattia, non poteva alzarsi dal letto. Lavorava con le proprie mani e voleva che le sue sorelle facessero altrettanto. Il lavoro di Chiara era la filatura (Proc, 1, 11): il tessuto filato era il lino e Francesco (figlio di un mercante di stoffe) non deve essere stato estraneo a questa scelta. Al lavoro di tessitura si aggiungeva il lavoro della terra: si trattava sicuramente dei lavori meno pesanti, come la cura dell'orto. Del frutto del lavoro non si faceva commercio: se i prodotti venivano inviati fuori dal monastero, si trattava sempre di doni; non si riceveva mai un corrispettivo in denaro, al massimo i doni venivano ricambiati con elemosine.

3 - La scelta di povertà. In un primo momento, a  S. Damiano era stata sufficiente la personale direzione di Francesco, cui Chiara aveva promesso obbedienza. Negli anni successivi (1214-1216), lui si allontanò spesso, per periodi più o meno lunghi, e la comunità cresceva. Si resero necessari, perciò, dei cambiamenti.

Francesco volle che fosse Chiara stessa ad avere la responsabilità di S. Damiano. Non era una scelta scontata, perché, in quegli anni, anche Domenico Guzman fondava diverse comunità femminili, di cui affidava la responsabilità ad un sacerdote.

Ma Francesco fa una scelta diversa: affida la responsabilità a Chiara e sceglie per lei il titolo di "abbadessa", ripreso dall'antica tradizione monastica, soprattutto benedettina (LegsC 12: FF 3179). La novità consiste nel fatto che applica un simile titolo ad una persona, responsabile di una comunità tanto povera.

Tutto questo avveniva tre anni dopo la conversione di Chiara, quindi intorno al 1215: sicuramente, tra le preoccupazioni che spinsero Francesco a far assumere il titolo di abbadessa a Chiara vi fu certamente anche quella di uniformarsi alle indicazioni del canone 13 del Concilio Lateranense IV, che proibiva nuove fondazioni di ordini religiosi e imponeva, a qualsiasi comunità religiosa, di seguire una della regole già approvate dalla Chiesa. La regola scelta in questo caso fu probabilmente quella di S. Benedetto.

Privilegium Paupertatis

Preoccupata che tale titolo e tale regola modificassero il volto della sua comunità, Chiara chiese direttamente a Papa Innocenzo III un riconoscimento del tutto particolare: il cosiddetto Privilegio della povertà cioè il privilegio di vivere senza privilegi (LegsC 14: FF 3186). Innocenzo III, con una certa allegria per lo strano contenuto, glielo concesse (1216).

Nel frattempo il cardinale Ugolino, futuro Gregorio IX, si prese cura, su incarico del nuovo papa Onorio III, delle comunità femminili, che volevano vivere nuove forme di vita religiosa. Per le Povere Dame  elaborò  un nuovo progetto di vita: questa regola, chiamata Regola di Ugolino (1219) favoriva la vita austera e la povertà. Soprattutto imponeva loro la clausura (RegUgo. n 4), con due principali divieti: quello della vista e quello della parola.

Questa scelta doveva essere definitiva: i confini del monastero diventavano, dal momento dell'ingresso, i confini di tutta la vita, sia nello spazio che nel tempo: la stessa Chiara rimarrà a S. Damiano 42 anni.

Il Claustrum, così come é delineato nelle Costituzioni di Ugolino, ricorda la città medievale: come questa era chiusa da mura, che la proteggevano da assalti esterni, così la comunità religiosa doveva essere uno spazio recintato e inaccessibile.

Comunque, a S. Damiano la clausura non venne istituita in questa occasione: la comunità, infatti, seguiva uno stile di vita eremitica sin dall'inizio. Però Chiara non accettò mai il divieto della parola, anzi fece del dialogo spirituale e della predicazione centri della vita della sua comunità.

Fu una tipica "donna della penitenza", al punto da aderire, a volte, a forme molto lontane da quelle di Francesco. E lui, in due occasioni, intervenne sgridandola: il primo problema sorse a proposito del luogo, nel quale Chiara dormiva: un saccone di sarmenti o la nuda terra; e come guanciale, una pietra.

Chiara si ammalò e Francesco dovette intervenire. Il secondo problema era legata alla scarsissima alimentazione, che Chiara si concedeva (Proc. 1,8; 4,5). Francesco faticò molto, per convincerla ad alimentarsi sufficientemente.

Le sorelle

I primi tempi a S. Damiano furono tempi di durissime privazioni e Chiara si sottoponeva a digiuni e privazioni maggiori di quelle richieste. In un secondo momento, però, forse proprio dietro consiglio di Francesco, si operò in lei una trasformazione e cominciò a preoccuparsi del corpo delle proprie sorelle, come e più del proprio: assisteva le ammalate, non disprezzava i servizi più umili, consolava le sorelle afflitte e, di notte, si preoccupava di vedere che non fossero scoperte; se era necessario, le ricopriva.

Questa coscienza di avere un corpo allargato la staccò definitivamente dalle forme di penitenza in uso e da quel momento si oppose sempre quando atteggiamenti simili si presentarono a S. Damiano.

Chiara sopravvisse 27 anni a Francesco. In questo periodo dovette affrontare il problema della organizzazione del suo ordine. La Regola di Ugolino aveva dato le linee fondamentali di vita austera e povera, ma lasciava aperto il campo al problema delle proprietà.

Quando Ugolino divenne Papa, con il nome di Gregorio IX, tra loro ci furono diversi scontri.

Nel 1228 il Papa propose a Chiara di acconsentire al possesso di qualche rendita, che garantisse un minimo di sicurezza alla sua fraternità. Ma lei rispose che, così facendo, l'avrebbe spinta a rinnegare la stessa sequela di Cristo (LegsC., 14: FF 3186).

Subito dopo questo episodio, Chiara si fece confermare dal Papa, per iscritto (12 settembre 1228), quel Privilegium Paupertatis, che le era già stato concesso da Innocenzo III (Priv, FF 3279). Ma i suoi rapporti col Papa si erano ormai raffreddati.

Diversi episodi lo dimostrano, soprattutto questo: in una Bolla papale (Quo elongati) del 28 settembre 1230, Gregorio IX, tra le altre disposizioni, sanciva che ai frati fosse vietato avere qualsiasi rapporto con comunità religiose femminili, se prima non ne avevano  avuto l'autorizzazione direttamente dalla Sede Apostolica.

Quando le giunsero tali disposizioni, Chiara vi si oppose nettamente: a S. Damiano risiedevano stabilmente quattro o cinque frati, incaricati di andare alla questua, per provvedere al cibo delle monache e garantire il servizio religioso delle sorelle.

Chiara mandò via tutti i frati, dicendo: «Ce li tolga tutti ormai i frati, dopo che ci ha tolto quelli che ci davano il Nutrimento di Vita». Era, in sostanza, uno sciopero della fame: il Papa la privava dell'elemosina spirituale, costituita dalle visite dei frati, e lei rinunciava all'elemosina materiale. Il papa tolse il divieto.

Regola di Innocenzo IV (1247)

Papa Innocenzo IV, nel 1247, aveva redatto, per le Sorelle Povere, una Regola: per la prima volta le Costituzioni, in essa contenute, non avevano come base la regola di S. Benedetto, ma quella di Francesco.

Però, prescrivevano la necessità di disporre di beni in comune per la sussistenza delle comunità. Il pericolo, ancora una volta, era quello di mettere in dubbio la scelta per la povertà, perciò Chiara si dispose a scrivere una regola interamente sua, in cui questa scelta fosse confermata solennemente. Evitò di usare il termine regola, sia per non incorrere nell'interdizione del Concilio Lateranense IV, sia per evitare che lo si considerasse un documento giuridico: voleva presentarlo solo come l'esperienza di vita sua e delle sorelle povere, "spose dello Spirito Santo".

Forma di vita dell'Ordine delle sorelle povere (1253)

Le sue condizioni fisiche si aggravavano velocemente, ma il Papa esitò a lungo, prima di confermare la Regola proposta da Chiara.

Passò ancora un anno, senza che nulla accadesse; Chiara continuava a star male.

9 agosto 1253: la sua Regola viene approvata da Innocenzo IV ad Assisi, due giorni prima che Chiara muoia. La procedura di approvazione, dopo tanti tentennamenti, é sicuramente di urgenza, come testimonia un appunto scritto a mano, dallo stesso Papa, sul bordo del documento.

Chiara era alla fine della sua sofferenza su questa terra: per 28 anni della sua vita era stata afflitta da una infermità cronica, che l'aveva sempre costretta a letto: aveva avuto anche momenti critici nei giorni, in cui morì Francesco (LegsC per 109: FF 1667-1668) e alla fine. Non si conoscono esattamente le infermità di cui soffrì. Si propende per uno stato cronico di denutrizione, provocato dalla notevole povertà materiale. 

La fine

11 agosto 1253: Chiara muore e accanto a lei ci sono Leone, Angelo e Rufino. Appena si sparse la notizia, tutta la città si precipitò nel piccolo monastero.

C'era addirittura il pericolo, come già era avvenuto con Francesco, che qualcuno potesse rubare il suo corpo. Intervenne il Podestà con molti cavalieri e molti uomini in armi. Ad Assisi, in quei giorni, c'era anche il papa, il quale celebrò i funerali il giorno successivo, facendoli coincidere con la traslazione del corpo da S. Damiano alla Chiesa di S. Giorgio (come era avvenuto per Francesco).

1255. Papa Alessandro IV la dichiarò santa: era la prima donna, non di stirpe regale, ad essere proclamata santa, dopo molti secoli. Eppure l'affermazione del suo culto incontrò non poche resistenza, anche all'interno dell'Ordine minoritico.

 

 

 

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