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La visita di Benedetto XVI nel carcere romano insieme al ministro della Giustizia Severino: sovraffollamento è doppia pena.

"So che il sovraffollamento e il degrado delle carceri possono rendere ancora più amara la detenzione". Il Papa visita il carcere romano di Rebibbia. Arriva alle 10 di mattina. Al suo arrivo tra i detenuti scoppia un lungo applauso. C'è anche il ministro della Giustizia Paola Severino, che ai microfoni di "Radio vaticana" ha definito una "felicissima coincidenza" la visita di Benedetto XVI a pochi giorni dall'approvazione in Consiglio dei ministri del decreto salva-carcere. Nel suo discorso Benedetto XVI invita le istituzioni a promuovere "un'attenta analisi della situazione carceraria oggi, verifichino le strutture, i mezzi, il personale, in modo che i detenuti non scontino mai una doppia pena".


I detenuti a colloquio con il Pontefice Sei carcerati gli pongono altrettante domande, e Papa Ratzinger risponde a braccio. Con franchezza e calore umano. "Ti voglio bene", gli dice Omar. "Anch'io ti voglio bene", gli risponde il Papa, "so che in voi il Signore mi aspetta, che voi avete bisogno di questo riconoscimento umano e che avete bisogno di questa presenza del Signore". Rocco gli domanda "se questo suo gesto sarà compreso nella sua semplicità, anche dai nostri politici e governanti affinché venga restituita a tutti gli ultimi, compresi noi detenuti, la dignità e la speranza". "Io sono venuto soprattutto per mostrarvi questa mia vicinanza personale e intima", risponde il Papa. "Ma certamente questa visita, che vuole essere personale a voi, è anche un gesto pubblico che ricorda ai nostri concittadini, al nostro governo il fatto che ci sono dei grandi problemi e delle difficoltà nelle carceri italiane. Abbiamo sentito il ministro della Giustizia, sentito come sente con voi, come sente tutta la realtà vostra e così - spiega Ratzinger - possiamo essere convinti che il nostro governo e i responsabili faranno il possibile per migliorare questa situazione, per aiutarvi a trovare realmente, qui, una buona realizzazione di una giustizia che vi aiuti a ritornare nella società con tutta la convinzione della vostra vocazione umana e con tutto il rispetto che esige la vostra condizione umana". Insomma, "speriamo che il governo abbia la possibilità e tutte le possibilità per rispondere a questa vocazione". Il Papa teologo si sofferma sulla differenza tra giustizia umana e giustizia divina. Federico si domanda "cosa possono chiedere degli uomini detenuti, malati e sieropositivi al Papa?". Benedetto XVI risponde: "Mi ha detto parole veramente memorabili, siamo caduti, ma siamo qui per rialzarci. Lei ha anche detto che si parla in modo feroce di voi, purtroppo è vero, ma vorrei dire non solo questo, ci sono anche altri che parlano bene di voi e pensano di voi". Poi aggiunge: "Dobbiamo sopportare che alcuni parlano in modo feroce, parlano in modo feroce anche contro il Papa e tuttavia andiamo avanti". Ad Alberto, diventato papà da un mese, Ratzinger spiega: "Io, naturalmente, non conosco i dettagli del suo caso ma spero con lei che quanto prima lei possa tornare alla sua famiglia. Lei sa che per la dottrina della Chiesa la famiglia è fondamentale, importante che il padre possa tenere in braccio la figlia". A Nwaihim, detenuto africano, il Papa racconta il suo recente viaggio in Benin, un paese "sofferente" che però mostra "gioia, allegrezza, più che nei paesi ricchi. E questo anche mi fa pensare che nei paesi ricchi la gioia è spesso assente, siamo tutti pienamente occupati con tanti problemi: come fare questo, come conservare questo, comprare ancora... E con la massa delle cose che abbiamo siamo sempre più allontanati da noi stessi e da questa esperienza originaria che Dio c'è e Dio mi è vicino; e perciò direi che avere grande proprietà e avere potere non rende necessariamente felici, non è il più grande dono".


L'incontro si conclude con la "Preghiera dietro le sbarre" composta da uno dei detenuti. Il Papa recita il Padre nostro. Poi benedice un cipresso piantato nel cortile a ricordo della visita. Lo salutano la Guardasigilli Severino, il cardinale Agostino Vallini, i cappellani don Sandro Spirano e don Roberto Guarnieri, il capo dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, e il direttore dell'istituto Carmelo Cantone.

Da “IL TEMPO.it”

 

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