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In mostra a Sondrio quarantacinque "Madonne vestite" provenienti dalle valli alpine

di Alfredo Tradigo

Il modello è sempre lei, Maria, la ragazza della gioia e del dolore, la ragazza destinata alla gloria e nella cui immagine si sono identificate intere generazioni. Maria, diffusa dall'arte e dalla pietà popolare in immagini tridimensionali tra arte e devozione, le cosiddette "Madonne vestite", ma-nichini dal torsolo di legno, rivestiti di paglia e gesso, le braccia e le gambe semovibili per favorire il cambio degli abiti, i capelli di crine e gli occhi di pasta vitrea. Opere d'arte "polimateriche", si direbbe oggi; e che ancora oggi ci guardano dalle teche degli altari, porgendoci il rosario, mentre sull'altro braccio reggono il Bambino Gesù benedicente. Un tempo mani premurose di donne, riunite in confraternite, vestivano questi simulacri con stoffe preziose, le incoronavano, le agghindavano di collane e anelli, pronte per "uscire" in occasione delle grandi processioni: il giorno dell'Assunta, il Venerdì santo, la benedizione dei campi, i riti propiziatori per invocare la pioggia o la protezione da alluvioni ed esondazioni.

 

Bisogni e necessità che abbiamo ancora oggi, come attuale è la domanda di una religiosità autentica e vicina alla vita quotidiana. Le Madonne vestite, di cui una mostra a Sondrio ci propone un'inedita selezione, sono un fenomeno storico-artistico iniziato nel XIII con la nascita della "Devotio moderna" ma che si sviluppò particolarmente tra il Sei e il Settecento. Oggi queste statue sacre tornano a interessarci dopo un inarrestabile declino avvenuto tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento; declino dovuto certo al nuovo clima culturale, positivista e illuminista, ma anche alla posizione della Chiesa, divenuta critica nei confronti di questi simulacri. Certo, il rischio di confondere il dito con la luna è sempre in agguato; ma, come scriveva Jean Paul Sartre, "il fanatismo, nato dal bisogno d'infinito, è una passione, finita ed esclusiva, per la finitudine di un oggetto che degli esseri finiti gli presentano come l'infinito che si degna di apparire nel cuore del finito".

Così l'infinito si cala nei panni del finito in queste quarantacinque Madonne esposte nella mostra "In confidenza col sacro. Statue vestite al centro delle Alpi" aperta a Sondrio fino al prossimo 26 febbraio presso le due sedi del credito Valtellinese e del Museo di Storia e Arte (Mvsa). Tra questi reperti, provenienti dalle valli alpine attraversate dei fiumi Adda e Mera (la Valtellina e la Valchiavenna), alcuni vedono la luce dopo anni passati nell'oblio di sacrestie e antiche case, dove venivano nascosti durante le visite pastorali di fine Ottocento. L'atteggiamento ostile della Chiesa nei confronti di questa forma di arte popolare durò dal 1896 al 1903. Il vescovo di Como Andrea Ferrari, divenuto poi arcivescovo di Milano (e proclamato beato nel 1987), riprendeva le argomentazioni sostenute addirittura da Giuseppe Sarto, il futuro Pio X, che da vescovo di Mantova così scriveva sull'uso di queste statue sacre: "Non è per nulla confacente alla liturgia della Chiesa". Anche a Roma, e siamo nel 1904, vennero presi provvedimenti al riguardo, tanto che la Commissione pontificia stabilì che venissero eliminate un grande numero di statue vestite. Nel 1953 infine, per decreto del Sinodo dei vescovi, si stabilì con più moderazione che "le statue vestite vengano gradualmente abolite tranne nel caso si tratti di statue importanti per arte e che abbiano una gloriosa tradizione alla quale il popolo difficilmente si rassegnerebbe a rinunciare".

Oggi le Madonne vestite rappresentano un interessante oggetto di studio da parte di moderne discipline come l'etnografia, l'antropologia religiosa, la sociologia e la storia della devozione. Ma interessano anche la storia dell'arte e del tessuto. Nell'attuale mostra di Sondrio un'eccellenza artistica si ritrova in un esemplare inedito di Pietà proveniente da Poschiavo (Svizzera) scolpita da Giovan Battista Del Piaz nel 1738. Inoltre, provenienti dal museo Bernareggi di Bergamo, sono esposti due pezzi d'autore: una statua e una testa di Andrea Fantoni (1659-1734), artista e intarsiatore bergamasco.

Queste statue raccontano storie che hanno il sapore d'altri tempi. La Madonna del Carmine di Torre Santa Maria in Valmalenco, sopra Sondrio, è corredata da una notevole dote racchiusa in un apposito baule, tra cui una preziosa collana fatta pervenire da Margherita Rizzi di Varazze "in dono perpetuo alla bellissima statua della Madonna del Carmine, a condizione che venisse messa al suo collo perpetuamente anche nel caso che la statua fosse sostituita con un altro modello" (il documento è datato 27 maggio 1868). La Madonna di Delebio (1710-1720) è vestita con l'abito da sposa di una nobildonna della famiglia Peregalli, convolata a nozze con un altrettanto nobile rappresentate della famiglia Malacria di Morbegno, sempre in territorio di Sondrio. Per avere infine un quadro più completo di questo tipo di arte religiosa, spesso relegata al ruolo di arte minore (ma non lo è per la storia della devozione e della pietà), occorre accostare a queste Madonne vestite le piccole sculture in cartapesta, legno snodabile o cera del Divino Infante. Il più famoso esempio è il Bambino Gesù di Praga, oggetto di una grandissima devozione sviluppatasi anche in Italia nel santuario del Gesù Bambino di Arenzano. E per chi volesse approfondire a Gardone Rivera è aperta al pubblico una bella collezione dedicata al Divino Infante.

Se il culto al Divino Fanciullo rappresenta un tipo di devozione intimista, tanto che queste bambole devozionali entravano a far parte del corredo delle giovani spose, come pure in quello delle novizie che stavano per entrare in convento (proiezioni del loro desiderio di maternità fisica o spi-rituale), intorno alle Madonne vestite si è coagulata un tipo di religiosità più spiccatamente comunitaria, vissuta da confraternite di donne, vergini, spose e vedove. La Madonna rappresentava per queste donne un modello comportamentale che coinvolgeva anche il modo di vestirsi e di at-teggiarsi, fino a identificare la propria vita in Lei: la Sposa, la Madre, l'Addolorata e la Regina. (©L'Osservatore Romano)

 

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