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A San Tommaso Moro padre Francesco Neri, superiore della Provincia di Puglia dei frati Minori Cappuccini, ha raccontato ai giovani, e non solo, il profilo del presule leccese e la sua passione per l'umanità di Cristo  
«Un uomo che si è sporcato le mani, un sacerdote che ha messo al centro della sua vita Cristo». In questa frase è racchiusa la storia di don Tonino Bello (Alessano 18 Marzo 1935 - Molfetta 20 Aprile 1993) secondo padre Francesco Neri, che ha raccontato la figura del sacerdote salentino a una vasta platea riunitasi nella parrocchia di San Tommaso Moro lo scorso 18 gennaio. Padre Neri, superiore della Provincia di Puglia dei frati Minori Cappuccini e docente di teologia dogmatica all’Istituto teologico «Santa Fara», ha messo in evidenza le caratteristiche umane e spirituali di don Tonino, che fu vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi. «Era un grande comunicatore, usava un linguaggio originale, sapeva arrivare ai giovani perché non aveva paura di stare con loro, di mettersi in gioco. Aveva una grande cultura e i suoi silenzi, come le sue parole, erano sempre ricchi di significato».

Il profilo che si delinea dai racconti di padre Neri è quello di un «santo sacerdote: un uomo umile, innamorato di Gesù, che ha imparato a conoscere partendo dalla Sua umanità». Il più grande complimento che si può fare a un sacerdote, amava ripetere, «non è quanti giovani ha attorno a sé o che belle omelie fa, ma come è umano». Don Tonino Bello è vissuto in mezzo alla gente, condividendone gioie e dolori, anche quando è stato nominato vescovo da Giovanni Paolo II nel 1982. «L’incarnazione e la croce sono due punti fondamentali nella sua spiritualità - spiega ancora padre Neri -: la croce vista come passaggio obbligato per giungere alla glorificazione». Un uomo di Chiesa come lui fondava la sua fede sulla Parola e sull’Eucaristia; credeva nel servizio: «La Chiesa - diceva -, con il grembiule ai fianchi, deve impegnarsi a servire la gente». Amava chiamare per nome le persone con cui entrava in contatto «perché nominarle voleva dire riconoscere la bellezza e l’unicità di ciascuno. "La bellezza salverà il mondo" è una frase, rubata a Dostoevskij, che amava ripetere - commenta ancora padre Francesco -. La bellezza del creato, del mare, di cui non poteva fare a meno, ma anche della spiritualità, della purezza d’animo. Insisteva molto sulla gioia, tanto che anche un suo scritto di esercizi spirituali per sacerdoti sofferenti si chiama "Cirenei della gioia"». «Le gioie di tutti i giorni - scriveva il presule - sono come feritoie attraverso le quali si può intravedere la felicità eterna».

Nel 1992 gli viene diagnosticato un tumore e si trova così, di colpo, davanti al mistero della sofferenza, che accetta come cammino per arrivare alla santità. Nello stesso anno, a dicembre, compie un viaggio a Sarajevo, nel Paese tormentato dalla guerra, in mezzo a un popolo che professa un’altra religione ma che vive delle sofferenze incredibili. Quattro mesi dopo, il 20 aprile 1993, muore prematuramente. Il 27 novembre 2007 la congregazione per le Cause dei santi ne avvia il processo di beatificazione. «Don Tonino era un prete scomodo - conclude padre Neri - perché diceva sempre ciò che pensava; ha condannato la guerra senza se e senza ma, ha parlato di obiezione fiscale per esprimere la volontà di chi paga le tasse che i suoi soldi non vengano spesi per armare uomini in guerra. La sua filosofia, in fondo, era molto semplice: "Il sale della vita è amare la gente, i poveri soprattutto, e Gesù Cristo"».

19 gennaio 201
di Ilaria Sarra – romasette.it

 

 

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