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I "piccoli" violati

“Noi che dovevamo portare la salvezza ai ‘piccoli’, siamo talvolta divenuti strumento del male contro di loro”. Le parole pronunciate dal vescovo a nome di tutti i vescovi del mondo risuonano nella chiesa romana di Sant’Ignazio dove ieri sera si è svolta una liturgia penitenziale presieduta dal card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi.

È stato il momento culmine del simposio internazionale che si sta svolgendo a Roma sugli abusi sessuali nella Chiesa e al quale stanno partecipando vescovi e superiori religiosi di tutto il mondo. A chiedere perdono in un clima di silenzio e oscurità sono stati un cardinale, un vescovo, un educatore, un superiore, un sacerdote, un religioso, un fedele. “Vescovi, superiori religiosi, educatori, cristiani tutti – ha detto il card. Marc Ouellet –, sentiamo doloroso questo gesto di purificazione che coinvolge profondamente la Chiesa intera”. “Come membri della Chiesa dobbiamo avere il coraggio di chiedere umilmente perdono a Dio e ai suoi ‘piccoli’ violati; dobbiamo essere vicini al loro cammino di sofferenza cercando, in tutti i modi possibili, di fasciare le loro ferite sull’esempio del Buon Samaritano. Il primo passo in questo cammino è di ascoltarli attentamente e di credere alle loro storie di sofferenza”.

 

La preghiera della vittima. “Eccoci umiliati davanti a te e davanti agli uomini, crocifissi dal male che ha sfigurato il volto della tua Chiesa”. “In grande angoscia siamo Signore di fronte alla tua croce: ascolta il grido che scaturisce dal nostro cuore lacerato e che vuole essere di nuovo risanato dall’amore”. La liturgia ha alternato momenti di preghiera, letture bibliche, immagini e canti. Ad un certo punto ha preso la parola anche Marie Collins, irlandese, vittima di abusi sessuali da parte di un cappellano in ospedale all’età di 13 anni che, rivolgendosi a Cristo crocifisso, ha detto: “Signore, oltraggiato dagli uomini, uomo dei dolori, è per noi pesante e difficile perdonare coloro che ci hanno fatto il male, solo la tua grazia può aprirci a questo dono: ti chiediamo la forza di unirci al perdono che dalla croce hai fatto scendere sull’umanità peccatrice come balsamo di guarigione perché la tua Chiesa sia sanata anche dal nostro perdono.‘Perdona loro’”.

No alla cultura del silenzio. Oggi il simposio prosegue facendo il punto sulla ricerca della verità nei casi di abuso sessuale con mons. Charles J. Scicluna, promotore della giustizia della Congregazione per la dottrina della fede. “La ricerca della verità nei casi di abuso sessuale – ha detto – è un dovere morale e legale”. Dunque no alla “mortale cultura del silenzio, la cultura dell’omertà”. E no agli “ulteriori nemici della verità” che “sono la negazione volontaria di fatti noti e l’erronea preoccupazione secondo la quale al buon nome dell’istituzione debba in qualche modo essere garantita la massima priorità a scapito della legittima denuncia di un crimine”. Il primo principio quindi da seguire è “l’amore per la verità che non può non tradursi in amore per la giustizia”. Ed ha aggiunto: “L’ammissione e il riconoscimento della piena verità dei fatti, ivi compresi gli effetti e le conseguenze dolorose, è la fonte della vera guarigione sia per la vittima, sia per il responsabile del crimine”. Occorre poi essere consapevoli che “la mancanza di rispetto per la verità genera sfiducia e sospetto”. Dunque se le disposizioni prese in questi anni dalla Chiesa sono chiare, è “necessario – ha sottolineato mons. Scicluna – che i fedeli siano convinti del fatto che la società ecclesiale rispetti il regime della legge. Per quanto la legge possa essere chiara, ciò non è sufficiente per la pace e per l’ordine della comunità. Il nostro popolo ha bisogno di sapere che la legge viene applicata”. Chiaro, infine, il passaggio del suo intervento a proposito della collaborazione della Chiesa con le autorità giudiziarie. “L’abuso sessuale dei minori – ha ribadito mons. Scicluna – non costituisce soltanto un delitto canonico o una violazione di un Codice di condotta interno di un’istituzione, religiosa o altra, ma rappresenta anche un crimine perseguibile dal diritto civile. Per quanto i rapporti con le autorità civili possano variare da paese a paese, è tuttavia importante collaborare con esse nell’ambito delle rispettive competenze”.

Agenzia SIR, mercoledì 08 febbraio 2012, www.agensir.it Prima Pagina

 

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