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In Europa, il voto francese e la crisi del governo olandese, oltre alle nuove incertezze politiche in Grecia, Spagna, riaccendono la speculazione sui mercati finanziari. Con il voto nazionale, i popoli europei sembrano prendere le distanze dal rigore dei conti imposto dall’Unione Europea e dalla Germania, dalle politiche migratorie ritenute troppo permissive, dalla Banca centrale europea che finanzia le banche ma non le famiglie colpite, come in Italia, da una gravosa tassazione. Un malessere che preoccupa fortemente i vertici comunitari. Luca Collodi ne ha parlato con il politologo Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia politica all’Istituto universitario “Sophia” di Loppiano (Firenze), fondato da Chiara Lubich:


R. – I voti abbondanti presi dell’estrema sinistra di Mélenchon e dalla destra di Marine Le Pen sono stati presi su programmi di difesa: entrambi non vogliono rinunciare alle protezioni dello Stato sociale e sentono la paura che pervade la società. Qualunque situazione di incertezza politica che attraversi i governi e i Paesi, viene letta dai mercati come una possibile indecisione nell’applicazione di misure che sono dei veri e propri ordini che l’economia sembra imporre alla politica.

 

D. – Prof. Baggio, chi ha ragione i mercati o la politica?

R. – Bisognerebbe ristabilire una supremazia della politica sulla base di una buona economia. Quello che si avverte come esigenza forte è di passare da un’azione di difesa, di sistemazione dei conti a una politica – e questo lo può fare soltanto la politica – di crescita e di rilancio. Ecco perché la possibile vittoria di Hollande in Francia, che andrebbe a spezzare l’asse che si è creato in questi anni tra Sarkozy e la Merkel, potrebbe essere un’opportunità purché Hollande non si metta in competizione con la Germania per una supremazia della Francia in Europa, ma riesca a collegare gli altri Paesi europei su una politica più armonica, costruendo una nuova unità e sviluppando gli investimenti. Se non c’è crescita in questa maniera, si va veramente a soffocare. Abbiamo visto che anche in Italia la politica, pur doverosa del governo Monti, non ha diminuito ma ha accresciuto le differenze sociali.

D. – E’ anche vero, però, che la riduzione delle risorse pubbliche sta colpendo in modo particolare gli anziani, i poveri, le famiglie…

R. – La verità è che si sta affacciando una nuova questione sociale, che dobbiamo affrontare non più com’è stato fatto oltre un secolo fa ma in termini completamente nuovi. Penso in questo caso che l’esperienza della Dottrina sociale cristiana abbia qualcosa da dire: la crisi si affronta anche attraverso una solidarietà nuova, che bisogno costruire nel quotidiano, giorno per giorno.

D. – Prof. Baggio, i laici cattolici che cosa stanno facendo? La sensazione è che siano un po’ incerti nel loro procedere, anche dopo l'incontro di Todi…

R. – C’è un grande lavoro che i laici cattolici stanno facendo sul piano sociale. Penso che, a livello politico, ci vorrebbe un’ulteriore maturazione. Nell’attuale governo Monti noi abbiamo dei ministri che sono cattolici, cattolicissimi anche nell’etichetta, ma questo non deve far pensare che con la presenza di ministri che sono personalmente di fede cattolica si esaurisca il ruolo dei cattolici nell’azione politica, anzi potrebbe addirittura diventare controproducente questa presenza al governo, se così si credesse. Onestamente, credo sia stata persa un’occasione nel 2005, quando ci fu un grande sforzo dei cattolici come presenza sociale in occasione del referendum sulla procreazione artificiale. Furono costruite delle reti di intervento, furono stimolate delle competenze del mondo cattolico e fu fatto per un’azione politica. Forse allora bisognava non smobilitare, ma mantenere questa rete, potenziarla e questo come attività propria dei laici, che devono diventare capaci di intervenire non semplicemente per rispondere a una sollecitazione, a un richiamo della gerarchia, la quale giustamente interviene perché ne vede il bisogno. Dovrebbe esserci una presenza laicale organizzata e intelligente, che previene il richiamo della gerarchia e riesce a lavorare in maniera autonoma.

D. – Oggi è il 25 aprile, Festa della Liberazione della Repubblica Italiana: che cosa dice questa data al mondo cattolico?

R. – Credo che dovrebbe stimolare la capacità che i cattolici hanno per natura di creare comunità. Il 25 aprile ricorda una situazione di guerra, di guerra civile, di divisione… Bisognerebbe, invece, applicare la nostra capacità di memoria per rivivere quelle vicende e renderci conto che le nostre stesse divisioni sono una storia comune: renderci conto che esiste un’unità del Paese. Noi possiamo dare al nostro cuore le cose vissute, le divisioni del passato davanti ai problemi di oggi, come un’occasione per riconoscere che questa storia è storia comune, che siamo un Paese, che siamo un popolo. Quello che manca è proprio il senso del Paese, di avere una prospettiva e un’idea per il futuro. www.radiovaticana.org

 

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