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Il cardinale incaricato dal Papa di curare i rapporti con le altre confessioni prende le distanze dai dissidenti austriaci

di Giacomo Galeazzi

Un tempo erano le tesi della rivista «Communio», ora sono le posizioni ufficiali della Santa Sede. Dunque, stop alle strumentalizzazioni del Concilio, perché il Vaticano II non può offrire alibi a chi si ribella all’autorità di Roma, ammonisce il cardinale Kurt Koch, l’uomo-ponte verso i «fratelli separati», il teologo e pastore al quale Benedetto XVI ha affidato i non facili rapporti con le altre confessioni.

Fin dall’approdo a Roma i suoi interventi pubblici e le sue prese di posizione sono sempre state molto ponderate e hanno accresciuto il loro peso specifico nella Curia romana. Su «Tempi» il presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani prende le distanze dai dissidenti austriaci che reclamano una radicale riforma della Chiesa a partire dai temi bioetici e dal sacerdozio. Il vescovo svizzero Kurt Koch, chiamato a Roma da Basilea per dirigere il dicastero vaticano dell’ecumenismo, ha scritto numerosi articoli per «Communio», la rivista internazionale fondata nel 1972 dal grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar. Nell’articolo programmatico di Communio scritto da lui stesso, il fondatore puntualizzò: «In nessun modo oggi bisogna liberare il cristianesimo dal campo di tensione. Se esso non è universalmente (cattolicamente) rilevante, allora cade, con tutti i suoi discorsi – siano essi pronunciati a partire dalla parola biblica o da un magistero ecclesiastico – nel letamaio dei rifiuti religiosi».

Ora che fa parte della squadra di governo del Pontefice, il cardinale Koch guida la pattuglia in Curia di «Communio» al fianco di due altri ministri vaticani (Ouellet e Fisichella). Il cardinale canadese Marc Ouellet, prefetto alla Congregazione vaticana per i vescovi (il dicastero strategico che sovrintende la selezione del corpo episcopale in buona parte del mondo) è un veterano della «scuola di Communio». Da  balthasariano della prima ora, l’ex arcivescovo di Québec rimane anche oggi membro dei comitati editoriali della rivista. Firma di «Communio» è anche l’arcivescovo Rino Fisichella, responsabile della Nuova Evangelizzazione e principale organizzatore dell’Anno della Fede indetto da Joseph Ratzinger.

Nella rivista si rispecchiò all’inizio degli anni Settanta la scommessa di buona parte della teologia post-conciliare: quella che negli anni della radicalizzazione progressista si era astenuta da plateali fughe in avanti. Ora il cardinale Koch può difendere quelle posizioni da uno scranno-chiave nel governo della Chiesa universale. «La mia reazione immediata è stata di stupore: perché rendere tale onore della citazione alla “Chiamata alla disobbedienza”? D’altra parte, però, era ormai necessario che il Papa dicesse una parola al riguardo», descrive così il porporato la sua reazione davanti all’appello all’obbedienza rivolto da Benedetto XVI ai sacerdoti dissidenti dell’Austria nella messa crismale. Un «contesto, spiega il ministro vaticano dell’ecumenismo, dove si rinnovano le promesse sacerdotali, tra le quali quella dell’obbedienza. Dunque «un’occasione significativa poiché sono importanti non solo le parole ma anche il contesto che rende il tutto assolutamente chiaro».

Il Pontefice, sottolinea Koch, anche in questo caso è intervenuto «alla sua maniera, chiara ma molto gentile». Il presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani si sofferma anche sulle radici del dissenso che sembra estendersi dall’Austria all’intera area tedesca. «Credo che da noi - spiega il porporato svizzero - abbiano recepito il Concilio accogliendo soprattutto l’interpretazione datane da Hans Kung e, a ruota, da molti massmedia». Su questa, secondo il cardinale Koch, «si fondano le irrequietezze odierne».  In ogni caso, osserva il capo dicastero, «molti hanno firmato perché percepiscono le difficoltà del momento; non penso però che tutti siano d’accordo con gli sviluppi: sacerdoti e diaconi che incitano alla disobbedienza è un fatto molto inusuale».

«Il fatto che gruppi di anglicani chiedano di entrare nella Chiesa Cattolica è il frutto del dialogo ecumenico di questi decenni, di questi anni. Senza il consenso raccolto per il lavoro fatto, tale situazione non si sarebbe concretizzata», precisa lo stretto collaboratore di Benedetto XVI. «La conversione di singoli - osserva il cardinale Koch - è una costante nella storia della Chiesa Cattolica. La novità risiede nel fatto che in questa fase ci sono gruppi di vescovi e sacerdoti con i loro fedeli che chiedono di entrare. Fin qui sono oltre mille, un fatto nuovo che il Santo Padre ha onorato, aprendo ai postulanti la porta della Chiesa Cattolica e concedendo loro  (attraverso l’istituzione degli ordinariati) di conservare alcune forme liturgiche specifiche anglicane». «L’iniziativa - tiene a ricordare il capo dicastero - non è stata del Santo Padre, il quale ha dato una risposta positiva a una richiesta esterna». Tutto dipende, secondo il cardinale Koch, «dalle grandi dinamiche sviluppatesi in questi anni all’interno della comunità mondiale anglicana». Infatti, «tra le varie Chiese nazionali le differenze in materia etica sono enormi. L’arcivescovo di Canterbury è responsabile dell’unità interna, ma non ha il potere di imporre soluzioni». E il dimissionario Rowan Williams «ha fatto molto, ha cercato di salvare quel che poteva».

www.vaticaninsider.lastampa.it   -  Città del Vaticano 08/05/2012

 

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