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Il sorriso di un prete. I funerali di don Ivan Martini a Carpi

È una pioggerella sottile ma fastidiosa a mescolarsi con le lacrime della gente venuta a dare l’ultimo saluto a don Ivan Martini, il parroco di Rovereto sul Secchia morto martedì scorso nella sua chiesa, mentre stava portando in salvo l’immagine della Madonna del Voto. Ad accogliere la bara nella chiesa di Quartirolo, periferia di Carpi, una delle poche rimaste agibili, il clero diocesano praticamente al completo, il vescovo di Carpi mons. Francesco Cavina e l’emerito mons. Elio Tinti, il vescovo di Cremona (diocesi dalla quale proveniva don Ivan) mons. Dante Lafranconi, quello di Cesena-Sarsina mons. Douglas Regattieri, le autorità, i corazzieri mandati in segno di omaggio dal Presidente della Repubblica e da quello del Consiglio, gli scout di Carpi e Rovereto (dei quali era stato assistente spirituale) e una folla accalcata fin da fuori, nonostante l’aula liturgica – così la chiamano, perché costruita pochi anni fa a fianco della chiesa madre, oggi sbarrata – abbia una capienza non trascurabile.

Il saluto è avvenuto mentre la terra continua a tremare – ieri sera una nuova scossa da 5,1 gradi Richter, stamattina altre fino a 3,9 – e non riesce a smorzarsi la paura.

 

A fianco della sua gente. “Don Ivan – ha ricordato nell’omelia mons. Francesco Cavina – aveva capito molto bene il mistero della morte e della vita svelato da Cristo” e “come buon testimone di Cristo ha cercato di camminare a fianco della sua gente asciugando lacrime di dolore, pronunciando parole credibili di consolazione, incoraggiando gli sfiduciati, rianimando la speranza, dando dignità ai più poveri e agli umili. In una parola, ha recato la buona novella della pace per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti”. Era proprio il Vangelo della morte di Cristo ad accompagnare la celebrazione. “La morte – ha riflettuto il vescovo – è un grande mistero e grande mistero è la vita. Ma il Signore Gesù ci ha svelato il senso dell’una e dell’altra, più ancora che con le sue parole luminose e certe, con la realtà stessa del suo vivere e del suo morire. Della morte egli ci ha assicurato che non è affatto una fine: è solo una Pasqua, cioè un passaggio da questo mondo al Padre”. Dopo la morte in croce, “quando sembrava che tutto fosse disperatamente finito, si è manifestata la potenza del Padre, ed è esplosa la risurrezione e la signoria di Cristo”.

Il ricordo della sua gente. A ricordare don Ivan sono stati in tanti. “Le comunità nelle quali ha prestato il suo servizio – ha aggiunto mons. Cavina –, in particolare la comunità parrocchiale di Rovereto, il carcere e l‘ospedale civile, hanno percepito, senza fatica, la totalità della tua dedizione, la sua vivacità, la sua apertura e disponibilità, unitamente alla sua schiettezza”. Nella casa circondariale “Sant’Anna” di Modena don Ivan prestava assistenza spirituale, e per questo, nella preghiera dei fedeli, è giunto “un grande grazie a Dio per averci donato don Ivan, che per tanti anni ha profuso in carcere tanto amore e tanta passione”. Come pure è stato ricordato il suo impegno in ospedale e tra gli scout, ai quali “diceva sempre che la preghiera più bella è il sorriso”. Ma era anche, e soprattutto, parroco, consapevole del suo impegno e amato dalla gente: “Ci ha insegnato la fede e di non aver paura dei dubbi”, hanno ricordato i suoi parrocchiani, citando la professione di fede di san Tommaso: “Mio Signore e mio Dio”. La sua generosità non si arrestava, “aveva molto caro” anche il servizio ai sinti e ai rom. Con i piedi per terra e la mente rivolta a Cristo, facendo propria la preghiera – anch’essa portata nella celebrazione esequiale – “Signore, dammi la forza di cambiare le cose che posso cambiare, di accettare quelle che non posso cambiare, e soprattutto la saggezza di distinguere le une dalle altre”.

La sua opera deve continuare. Al termine della funzione, è stato letto il suo testamento, scritto l’8 luglio 1992, durante un campo scout in montagna. “Quando il Signore mi chiamerà a sé e mi unirà alle persone care che ho conosciuto e con le quali ho vissuto qui sulla terra, io sarò libero da tutti i beni materiali ai quali, per grazia di Dio, non ho mai attaccato il cuore”, scriveva, manifestando la volontà di donare i suoi averi alla parrocchia di cui sarebbe stato parroco “o, nel caso non lo fossi più, alla Casa soggiorno del clero di Carpi”. Al posto dei fiori, un’offerta al Centro missionario di Carpi – “È sufficiente, infatti, un cuscinetto a forma di croce sulla mia bara: così aveva desiderato mia madre per sé prima di morire, così desidererei anch’io” – e, per la sepoltura, il cimitero della parrocchia. Un desiderio che non sarà possibile esaudire a breve, dal momento che quello di Quartirolo è inagibile e, quindi, è stato necessario portarlo al cimitero di Carpi. Ora, ha chiesto al termine della funzione mons. Cavina, “chi di voi è pronto a prendere il suo posto? Questa è la domanda che vi lascio mentre torniamo alle nostre case, o alle nostre tende. Questo è l’impegno concreto che don Ivan si aspetta da noi oggi. Il resto sono belle parole. L’opera di don Ivan deve continuare, e per far questo è necessario che qualcuno prenda le redini di ciò che lui ha lasciato”.

a cura di Francesco Rossi, inviato Sir a Carpi - www.agensir.it

 

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