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di Giacomo Gambassi
Alla folla che in piazza San Pietro lo acclamava, papa Francesco ha domandato mercoledì sera un «favore», come lui stesso lo ha definito. «Vi chiedo di pregare il Signore perché mi benedica», ha detto dalla loggia centrale della Basilica vaticana nel suo primo saluto. «Quelle parole mi hanno fatto ricordare immediatamente un passo degli Atti degli Apostoli – spiega padre Raniero Cantalamessa –. È quello in cui si legge che Pietro era in prigione, ma una preghiera unanime si levava dalla Chiesa per lui. E fu la preghiera che fece cadere le catene di Pietro. Così l’Apostolo poté essere libero».
Frate minore cappuccino, predicatore della Casa Pontificia, il religioso che vive nell’eremo dell’Amore Misericordioso di Cittaducale, in provincia di Rieti, non era a Roma quando papa Bergoglio è stato eletto. Ci è tornato ieri mattina. Ma il messaggio a braccio con cui Francesco si è presentato alla Chiesa e al mondo lo ha analizzato con attenzione. Uno snodo è stato l’invito del Pontefice alla centralità del dialogo con il Signore che può essere imbastito anche con preghiere semplici, come quelle recitate mercoledì sera. «Ho avuto occasione di trovarmi con il cardinale Bergoglio in momenti di spiritualità, come è accaduto anche lo scorso ottobre – afferma il religioso –. E so che quello che ha detto e fatto è in perfetta armonia con quello che egli è: un uomo che non prega soltanto prima di fare le cose, ma prega per sapere che cosa fare».
Dalla loggia di San Pietro il Papa argentino ha indicato come mappa alcuni vocaboli: fratellanza, evangelizzazione, fiducia. Sfide che la preghiera, evidenziata dal Pontefice, sorregge. Perché, sottolinea padre Cantalamessa, «la preghiera è il momento forte del rapporto con Dio, è la fede in atto. E per un cristiano la fratellanza trova il suo fondamento ultimo e più sicuro nel fatto che Gesù ci ha resi tutti figli dello stesso Padre e fratelli tra di noi. È in Dio che ci scopriamo fratelli, al di là di tutte le differenze di razza, di colore e perfino di religione. Quanto all’evangelizzazione vorrei citare un ammonimento di Gesù che ben riassume quanto suggerito dal Papa: "Pregate il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe"».
Davanti alla piazza che lo applaudiva Francesco ha richiamato il valore del silenzio. «Anche il papa emerito Benedetto XVI in questi ultimi tempi evidenziava spesso l’importanza del silenzio – prosegue il predicatore della Casa Pontificia –. Il nostro mondo, sosteneva il filosofo Kierkegaard nell’Ottocento, è malato di chiasso. Che cosa direbbe se vivesse oggi? Non solo il mondo, ma anche la Chiesa soffre a suo modo di questo "mordo". Gesù, diceva Ignazio d’Antiochia, è la parola uscita dal silenzio. Le parole più cariche di spirito e vita sono sempre quelle che escono dal silenzio. Il silenzio a cui ci esorta papa Francesco non è solo silenzio di parole, ma anche di pensieri o immagini violente. Il vero silenzio è quello che si ha quando si rientra in se stessi. Perché, scriveva sant’Agostino, nell’uomo interiore abita la verità».
Volto noto nelle case degli italiani dove è entrato per quindici anni ogni fine settimana commentando su Raiuno il Vangelo della domenica, padre Cantalamessa pone l’accento anche sul «volto» mariano mostrato dal nuovo Papa. «Il neo eletto ha sentito il bisogno di mettere il suo ministero petrino sotto la protezione della Vergine – spiega –. Quando ha annunciato che si sarebbe recato a pregare la Madonna, ho pensato che intendesse andare nella chiesa di Santa Maria Addolorata in piazza Buenos Aires che è la chiesa degli argentini a Roma. Ma evidentemente anche con il gesto di recarsi ieri nella Basilica di Santa Maria Maggiore ha voluto accentuare che ormai si sente anzitutto vescovo di Roma, come ha più volte ripetuto nella sua apparizione dalla loggia».
Padre Cantalamessa legge nelle prime due giornate di Bergoglio da Papa un prezioso legame fra la spiritualità ignaziana e il carisma francescano. «Come Cappuccino ciò che mi rallegra è l’umiltà e la semplicità che hanno contraddistinto il cardinale nel suo precedente servizio alla Chiesa e che sono state rimarcate anche in queste ore. Per noi francescani è una gioia che sia stato un gesuita a inaugurare questo nome che avrà certamente un seguito. Francesco non è monopolio di nessuno, appartiene a tutto il mondo, anche ai non credenti. Nessuno ha cantato la fratellanza di tutti gli uomini e di tutte le creature come il Poverello. Il nuovo Papa ha scelto bene il suo alleato e la sua fonte di ispirazione nello sforzo di promuovere la fratellanza tra i popoli e le religioni».
E quando al predicatore della Casa Pontificia si chiede quale messaggio giunga dal nome del Papa, risponde: «Pensando al Santo di Assisi vengono subito in mente le parole che un giorno udì dal crocifisso di san Damiano: "Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa". Inoltre può essere menzionato l’affresco di Giotto ad Assisi dove si vede il Poverello che sostiene con la spalla la chiesa di San Giovanni in Laterano. Senza caricare il neo eletto di attese esagerate, non possiamo non vedere in quella frase e in quell’immagine un auspicio e una speranza».
Avvenire, www.avvenire.it, 15 marzo 2013