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riaprire le porte di un dia-logo aperto tra credenti e non credenti

E’ stata pubblicata, stamani, sul quotidiano La Repubblica, un’ampia lettera di Papa Francesco inviata a Eugenio Scalfari in risposta alle domande che il fondatore ed ex direttore del quotidiano gli aveva posto, sempre sul giornale, su temi di fede e attualità. Ce ne parla Sergio Centofanti:

 

“È venuto ormai il tempo”, e il Concilio Vaticano II ne ha inaugurato la stagione, “di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro”: è quanto scrive il Papa rispondendo a Scalfari, che si definisce “un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth”. Papa Francesco parla di un paradosso: il fatto che lungo i secoli della modernità, “la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell’uomo sin dall’inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d’impronta illuminista, dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità”.

Il Papa, citando l’Enciclica Lumen Fidei, ribadisce “che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti”.

Quindi, ricorda che per lui, la fede “è nata dall’incontro con Gesù”, un “incontro personale, che ha toccato” il suo cuore e ha dato “un indirizzo e un senso nuovo” alla sua esistenza. Ma “senza la Chiesa – afferma - non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità”. “Ora – scrive il Papa a Scalfari - è appunto a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell’ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con Lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme”.

Andando al cuore delle domande di Scalfari, Papa Francesco ricorda come Gesù predichi “«come uno che ha autorità», guarisce, chiama i discepoli a seguirlo, perdona... cose tutte che, nell’Antico Testamento, sono di Dio e soltanto di Dio”. La fede cristiana crede proprio questo: “che Gesù è il Figlio di Dio venuto a dare la sua vita per aprire a tutti la via dell’amore”. E il Papa aggiunge: “Ha perciò ragione, egregio Dott. Scalfari, quando vede nell’incarnazione del Figlio di Dio il cardine della fede cristiana”.

Alla domanda su quale sia l’originalità della fede cristiana, il Papa afferma che sta “nel fatto che la fede ci fa partecipare, in Gesù, al rapporto che Egli ha con Dio che è Abbà e, in questa luce, al rapporto che Egli ha con tutti gli altri uomini, compresi i nemici, nel segno dell’amore”. Quindi, “la singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l’esclusione”. Di qui consegue “anche - e non è una piccola cosa - quella distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica che è sancita nel ‘dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare’, affermata con nettezza da Gesù e su cui, faticosamente, si è costruita la storia dell’Occidente”.

Rispondendo poi alla domanda sulle promesse di Dio agli ebrei, il Papa afferma che “soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, abbiamo riscoperto che il popolo ebreo è tuttora, per noi, la radice santa da cui è germinato Gesù” e che “mai è venuta meno la fedeltà di Dio all’alleanza stretta con Israele e che, attraverso le terribili prove di questi secoli, gli ebrei hanno conservato la loro fede in Dio. E di questo, a loro, non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità. Essi poi, proprio perseverando nella fede nel Dio dell’alleanza, richiamano tutti, anche noi cristiani, al fatto che siamo sempre in attesa, come dei pellegrini, del ritorno del Signore e che dunque sempre dobbiamo essere aperti verso di Lui e mai arroccarci in ciò che abbiamo già raggiunto”.

Scalfari chiede poi se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. “Premesso che — ed è la cosa fondamentale — la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito – risponde il Papa - la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire”.

Circa l’esistenza o meno di una verità assoluta, il Papa spiega: “io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità «assoluta», nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: «Io sono la via, la verità, la vita»? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa. Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione... assoluta, reimpostare in profondità la questione”.

Il Papa, poi, rispondendo alla domanda in cui Scalfari chiede “se, con la scomparsa dell’uomo sulla terra, scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio”, afferma che “anche quando venisse a finire la vita dell’uomo sulla terra — e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno — , l’uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l’universo creato con lui. La Scrittura parla di «cieli nuovi e terra nuova» e afferma che, alla fine, nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa, Dio sarà «tutto in tutti»”.

Queste riflessioni, "suscitate da quanto ha voluto comunicarmi e chiedermi" – scrive il Papa a Scalfari – “le accolga come la risposta tentativa e provvisoria, ma sincera e fiduciosa, all’invito che vi ho scorto di fare un tratto di strada insieme. La Chiesa, mi creda, nonostante tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono, non ha altro senso e fine se non quello di vivere e testimoniare Gesù: Lui che è stato mandato dall’Abbà «a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc4, 18-19)”. www.radiovaticana.org

 

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