Novità - Eventi di rilievo

di Alessandro Cassinis

«NON C’È una guerra di religione in Europa. C’è un disegno violento e brutale i cui scopi non sono chiari. Vorrei che il mondo musulmano si dissociasse a voce alta per una condanna decisa del terrorismo, anche se sembra difficile unificare tutte le voci. Come difendersi? Aumentando la vigilanza e i controlli, ma occorre anche che il mondo intero isoli il terrorismo tagliando con lui ogni tipo di rapporto sia politico che economico. Chi compra il petrolio e fornisce armi?».

Verrebbe da riassumere così il lungo colloquio con il cardinale Angelo Bagnasco nel suo studio all’Arcivescovado di Genova, ma trascrivendo le parole testuali di questa intervista al Secolo XIX saltano agli occhi le sfumature e i distinguo di un uomo consapevole di quanto sia delicato il suo giudizio in un clima così tragico e così arroventato.

L’arcivescovo di Genova e presidente della Cei è appena tornato dal quinto Convegno ecclesiale nazionale a Firenze, dove agli scandali di Vatileaks e dell’abate di Montecassino ha voluto contrapporre la dedizione disinteressata e trasparente della quasi totalità dei sacerdoti. Papa Francesco, presente per testimoniare la sua «Chiesa inquieta», ha avuto per Bagnasco parole e gesti molto affettuosi. Il cardinale è prudente e allarga le braccia quando gli si chiede delle intercettazioni fra Profiti e Bertone sul Gaslini. «Che cosa posso dire? Mettersi a questi livelli…». Ma intanto difende l’ospedale genovese dei bambini, che deve essere rilanciato come eccellenza.

Eminenza, Parigi ha vissuto una notte di guerra. Come si risponde? Come ci si difende?

«Le nostre nazioni sono Paesi aperti: è un dato di fatto che porta ad avere società sempre più interculturali e interetniche. Credo che questa sia una scelta di civiltà più che corretta secondo quei principi di libertà e di responsabilità che fanno parte della nostra cultura. Ciò non toglie che le autorità politiche abbiano il compito ancor più delicato e grave di assicurare l’ordine pubblico nei rispettivi Paesi e nell’insieme europeo. Quindi la crescente attenzione e la vigilanza sul territorio, attraverso tutti gli strumenti anche tecnologici oggi a disposizione, devono continuare e vanno implementate».

Bisogna cessare i bombardamenti sulla Siria?

«Non tocca a me dare una valutazione puntuale che riguarda un Paese e azioni militari precise. Però c’è un principio di carattere generale che dobbiamo tutti ricordare e che i responsabili delle nazioni devono applicare. Ed è quello dell’autodeterminazione dei popoli. La storia anche recente avrebbe dovuto insegnare che esportare e imporre valori nostri spesso non funziona se non attraverso la crescita e la maturazione da parte delle coscienze dei singoli e della coscienza collettiva. Applicare modelli e letture esterne, che rispondono a logiche non proprie di certi popoli o aree geografiche, è un’operazione che facilmente può portare più danni che benefici».

Assad ha massacrato il suo popolo, l’Isis ha avuto buon gioco nel fiancheggiare i ribelli. Secondo lei l’Occidente dovrebbe stare a guardare?

«Dobbiamo conoscere meglio la mentalità di quei popoli, per non imporre le nostre letture e le nostre logiche. Il rischio è di rompere equilibri e mettere in pericolo le minoranze».

Perché finora la voce dei musulmani contro il terrorismo è sempre stata sommessa?

«Probabilmente perché non c’è una lettura unitaria di questi atti. Questo perché il mondo islamico è molto plurale. Non c’è un’autorità unica. Ognuno può leggere e interpretare questi fatti in modo molto differente pur appellandosi alla medesima religione o alla medesima cultura, come se facessero parte di un arcipelago. Sono certo che non tutto il mondo musulmano approvi questi atti di brutalità, ma chi dissente sembra non avere sufficiente forza per dire una parola esplicita di condanna e di distanza».

[Il secolo XIX, Genova]

 

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