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L'opera presentata in occasione della visita pastorale di papa Bergoglio ad Assisi il prossimo 4 ottobre

di Roberta Leone

Il profilo chino su una tavola del colore dell’oro, in mano il pennello per tracciare gli ultimi dettagli dell’opera compiuta, la dedica dell’artista. Intorno, in un corridoio illuminato dalla luce calda che al mattino inonda le strade di Assisi, il silenzio del convento, passi di sandali.

Padre Vladimiro Penev, frate del Sacro Convento di Assisi, dipinge da quando era bambino, quando ai tempi della scuola, approfittando dell’assenza dell’insegnante, copiava alla finestra i suoi disegni per i compagni. Da frate ha dipinto soprattutto per le missioni. E le sue Crocifissioni, i ritratti della Vergine, di san Francesco e dei santi francescani raggiungono oggi i seminari dei frati minori conventuali dalla Corea all’India e al Brasile.

Da tre mesi a questa parte, padre Penev dipinge per papa Francesco. In occasione della visita pastorale di papa Bergoglio ad Assisi il prossimo 4 ottobre, il padre bulgaro ha realizzato un “Crocifisso blu” che la famiglia francescana e il vescovo di Assisi, Mons. Domenico Sorrentino, doneranno al pontefice nella cripta dov’è custodito il corpo di San Francesco. La croce dipinta a olio su tavola da p. Penev ricalca una linea iconografica, tutta francescana, iniziata alla metà del XIII secolo dall’anonimo pittore detto “Maestro dei Crocifissi blu”. L’opera – una croce da parete lunga all’incirca 70 cm - è la rielaborazione di una crocifissione effigiata su due lati, proveniente dalla Basilica di San Francesco e conservata nel Museo del Tesoro del Sacro Convento.

“Quando papa Francesco ha detto di voler venire in Assisi come pellegrino – racconta il francescano - sono andato dal padre Custode e gli ho detto: «Gli dobbiamo fare un regalo. Se, padre, non ha niente in contrario, vorrei incominciare. Una croce blu con San Francesco ai piedi, così che il papa abbia anche il santo da cui ha preso il nome»”. In questi anni, della croce dell’anonimo Maestro P. Vladimiro ha dipinto almeno quindici copie: “È una croce speciale, molto devozionale. Si vede il volto del Signore sofferente, solenne anche da morto. E la Madonna che, come dice il Vangelo, sta”.

Diversamente dal più noto Crocifisso di San Damiano - quello che secondo l’agiografia francescana parlò al giovane mercante di Assisi segnandone la vocazione - il Cristo dei Croficissi blu non è rappresentato con gli occhi aperti, eternamente vivo e vittorioso sul trono della Passione. In linea con lo spirito francescano, il corpo del Redentore, morto e inarcato dai patimenti, gli occhi chiusi, il capo reclinato, è quello di un “Christus patiens”, sofferente.

All’albero della croce, al perizoma del Cristo e alle vesti della Vergine e di San Giovanni il Maestro anonimo della scuola di Giunta Pisano aggiunge una peculiarità divenuta un modello per i contemporanei: una pittura d’un blu intenso, con toni che variano dall’azzurro al violetto, su una superficie campita d’oro. Come nella tradizione bizantina, che al colore del lapislazzulo e dell’azzurrite assegnava la rappresentazione della trascendenza, della celeste e divina natura del Verbo.

Il Maestro dei Crocifissi blu affida all’equilibrio di forma e colore la più delicata rappresentazione della fede della Chiesa: nel suo Christus patiens si riconosce l’integrità, nell’unica persona del Redentore, delle due nature, quella umana, significata nel corpo sofferente, e quella divina, simbolicamente richiamata dal colore blu.

Per il crocifisso destinato a papa Francesco, padre Penev ha studiato quattro toni d’azzurro, uno per la croce, uno per il perizoma del Signore, uno per la Madonna ed uno per San Giovanni, ottenuti per sovrapposizione di varie velature delle tinte oltremare, blu di Prussia, cobalto e ceruleo. La campitura a foglia d’oro è stata realizzata dopo una lunga preparazione della tavola, fatta in attenta osservanza delle tecniche pittoriche duecentesche. E sull’aureola del Redentore sono state incastonate cinque pietre dure arrivate dalla Cina: “non preziose, abbiamo pensato che il papa non le avrebbe accettate”, ha detto padre Penev. Sul retro della croce, un testo manoscritto ricorda in latino il dono degli ordini francescani – l’universa familia franciscana – e del vescovo di Assisi al pontefice pellegrino.

Ma il dono di un Crocifisso da parte dei francescani è sempre anche un richiamo diretto alla spiritualità del Poverello di Assisi. Racconta San Bonaventura, il doctor seraphicus biografo del santo di Assisi, che mentre Francesco era assorto nella preghiera “gli apparve Cristo Gesù, come uno confitto in croce” e che il santo, al vederlo, “si sentì sciogliere l’anima”. Francesco scelse la sequela, fece della croce del Tau il suo segno, portò un abito “fatto in forma di croce”, e la croce fu anche il sigillo della sua adesione alla “forma del Santo Vangelo”. Nel settembre del 1224 - due anni prima di morire - sul monte della Verna, dalla visione di un serafino crocifisso Francesco riceverà il dono supremo della conformità a Cristo, le sue stesse stigmate. Impresse nelle mani, nei piedi e nel costato.

Per questo, come nel crocifisso di Arezzo, nella tavola da parete destinata a papa Francesco compare, nell’atto di baciare le piaghe del Redentore, la figura del santo di Assisi. “Nella storia della Chiesa – commenta Padre Penev - abbiamo un uomo, Franciscus crucifixus, a cui Cristo regala le piaghe e i chiodi della Passione. Insieme alle stigmate il Signore dona a San Francesco la sua croce”. E saranno i segni della croce - Dante li chiamò “l’ultimo sigillo, / che le sue membra due anni portarno” - a fare di Giovanni di Bernardone chiamato Francesco, per otto secoli fino ad oggi, un secondo crocifisso, l’alter Christus. http://vaticaninsider.lastampa.it

 

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