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Vedere l’amore di Dio anche, e soprattutto, quando si sperimenta la sofferenza. È questo l’insegnamento consegnatoci da Chiara Lubich, che rifuggiva da ogni facile e superficiale risposta al perché del dolore nel mondo. L’accento su questo tratto saliente della figura della fondatrice e prima presidente del movimento dei Focolari è posto da Brendan Leahy, vescovo di Limerick, nel saggio The Meaning of Suffering in Christianity contenuto nella rivista accademica internazionale «Lumen. A Journal of Catholic Studies».La concezione della sofferenza da parte di Lubich, rileva Leahy, si pone su un piano squisitamente spirituale, privilegiando l’attenzione sul rapporto che la persona intende stabilire con gli aspetti negativi dell’esistenza, piuttosto che indugiare sul dolore in quanto tale.

Del resto, il movimento focolarino è stato fondato durante la seconda guerra mondiale, vale a dire quando pullulavano avvenimenti che riflettevano il culmine della sofferenza su vari livelli: personale, fisico e sociale. Ed è proprio in quel contesto che si venne a forgiare una spiritualità, alla luce dell’accettazione della croce di Cristo, che portava a riconoscere nella sofferenza la via maestra per vivere in pienezza la radicalità del messaggio evangelico.

 

In tale prospettiva la testimonianza incarnata da Chiara Lubich, prosegue il vescovo Leahy, conserva un’attualità di grande spessore. Una testimonianza fondata su alcuni, precisi cardini: non impantanarsi in un’analisi accanita del perché della sofferenza; vivere con slancio il momento presente, andare al di là di ogni ferita per farsi portatori di amore, trasformare ogni ostacolo in un trampolino di lancio.

Un altro fondamentale aspetto della testimonianza di Lubich, l’anelito all’unità della intera famiglia umana, è trattato nel saggio di Roberto Catalano, codirettore del centro per il dialogo interreligioso del movimento dei Focolari a Roma. Si sottolinea come l’impegno di favorire il cammino verso l’unità non possa prescindere dall’amore per il prossimo, passaggio chiave del messaggio cristiano. Nello stesso tempo Catalano evidenzia come senza il raggiungimento di una vera coesione all’interno del vivere sociale non è possibile ottenere progressi sia nelle relazioni interpersonali sia nell’ambito di un progetto diretto a promuovere il bene comune. Nel saggio si ricorda che Lubich elaborò una vera e propria metodologia del dialogo, che raccomanda di trasmettere amore all’altro, senza discriminazioni di alcun genere, e di far sì che ogni persona sia messa nelle condizioni di dare il meglio di sé per contribuire alla costruzione di un’autentica fratellanza. Lubich era consapevole delle difficoltà che si frappongono alla tessitura di un costruttivo dialogo tra differenti religioni.

Ma è proprio su questo terreno, a volte molto insidioso, che si misura — soleva ribadire la fondatrice — la maturità e la consistenza di un dialogo d’importanza vitale per raggiungere quel grande obiettivo che è la concordia fra popoli e nazioni.

L'Osservatore Romano, 13 ottobre 2015.

 

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