Chi sono i Cappuccini?
chi siamo - Per conoscerci |
di p. Prospero Rivi
Con i Frati Minori e i Frati Minori Conventuali, sono il terzo ramo dell’unico grande albero piantato da Francesco d’Assisi; la loro denominazione completa è Frati Minori Cappuccini.
Pur ispirandosi tutti alla Regola e al carisma di S. Francesco, nel corso dei secoli ognuno dei tre rami del I Ordine si è dato una struttura indipendente. Per tutti, il cardine della spiritualità è “osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità”, come dice in apertura la Regola di S. Francesco. Nel suo insieme, quella francescana è la famiglia spirituale di gran lunga più numerosa nella Chiesa, sia per quanto riguarda i frati, che le suore e i laici.
Il sorgere dei tre rami del Primo Ordine, quello dei Frati, ha una sua ragione nel fatto che Francesco ha lasciato in eredità un ideale di vita cristiana di tale straordinario spessore, che lui solo era riuscito a realizzare in pienezza con il genio della sua santità, e da cui è nata quella grande famiglia spirituale che storicamente si è espressa in una feconda ramificazione, la cui ricchezza continua ancor oggi a riversarsi copiosa sulla chiesa e sulla società1.
Riguardo all’esperienza francescana, si potrebbe dire che è accaduto quello che nel campo dell’arte è successo per Giotto: la rivoluzione del linguaggio pittorico da lui iniziata ad Assisi - non a caso proprio narrando la vita di Francesco - e proseguita poi a Rimini, a Padova e a Firenze ha saputo “mutare l’arte del dipingere di greco in latino” (secondo l’incisiva espressione del contemporaneo Cennino Cennini), esercitando un fascino travolgente su tutta l’arte del ’300 e oltre. Dalle tre città ove egli ha operato più a lungo sono fiorite e si sono diffuse tre celebri “scuole giottesche”, che del genio inarrivabile del maestro hanno colto caratteri diversi e tra loro complementari: ciascuna di esse ha avuto personalità di alto rilievo, che hanno saputo interpretare con creatività le intuizioni del grande maestro fiorentino, pur senza mai raggiungerlo.
Qualcosa di analogo, ma in dimensioni assai maggiori, è accaduto per il francescanesimo, il cui fondatore è stato riconosciuto fin dal suo primo apparire - ed è rimasto poi anche in seguito sino ad oggi - come l’interprete più geniale della santità cristiana. Attorno a lui e grazie a lui, sono sorte alcune personalità straordinarie - come i santi Antonio da Padova (1191-1232), Bonaventura da Bagnoregio (1217-1274) e Giovanni Duns Scoto (1265-1306) - che non solo hanno vissuto il suo carisma, ma hanno saputo farsene interpreti autorevoli sul piano filosofico e teologico, rendendolo accessibile a tanti e capace di influire positivamente nei campi della spiritualità e della cultura in generale.
Non stupisce dunque se la Regola di vita proposta dal Santo di Assisi ha dato origine sin dall’inizio a diverse interpretazioni con differenti percorsi: tra la metà del ’300 e la metà del ’500, modi e stili diversi di vivere l’inesauribile carisma francescano si sono espressi in una molteplicità di “riforme”, che si sono poi coagulate nei suddetti tre rami riconosciuti come autentici dalla Chiesa. Vediamoli brevemente.
-
Una prima interpretazione della Regola è stata quella che consentiva ai frati di vivere in mezzo alla gente, impegnati in un forte apostolato come desiderava la Santa Sede, ma che per questo richiedeva ampie chiese e grandi conventi: è la strada seguita dai Frati Minori Conventuali, che oggi sono circa 4.000 e hanno la cura pastorale di tutte le grandi e bellissime chiese dedicate a S. Francesco nelle nostre principali città (era loro anche l’attuale cattedrale di Rimini, già affrescata da Giotto e dunque madre della gloriosa “scuola giottesca riminese”, prima che l’Alberti la trasformasse nell’incunabolo dell’architettura rinascimentale italiana). Portano un abito nero o grigio con il cordone (nel mondo anglosassone sono noti come i Grayfriars). Tra le figure più note, basti ricordare del XVII secolo S. Giuseppe da Copertino (il “santo dei voli” e patrono degli studenti un po’…“zucconi”) e più vicino a noi S. Massimiliano Kolbe. In Italia, le loro presenze più significative sono il Sacro Convento con la tomba di San Francesco ad Assisi e la chiesa di s. Antonio a Padova.
-
Una lettura moderata della Regola, che conservava l’impegno pastorale, ma con un tipo di vita più “osservante” dei valori della povertà e semplicità francescane, è quella perseguita dalle varie “riforme” partite timidamente nella seconda metà del ’300, consolidatesi a metà del ’400 grazie alle figure eminenti di Bernardino da Siena, Giacomo della Marca, Giovanni da Capestrano e Alberto da Sarteano, di nuovo in fermento tra la fine ’400 e gli inizi del ’500 e confluite poi quasi tutte nel grande fiume dell’ “Osservanza” nel 1517, quando Leone X ha conferito a questo grande ramo la totale autonomia dai Conventuali. Dal 1897 le diverse correnti interne all’Osservanza sono state unificate ed hanno assunto il semplice nome di Frati Minori. Sono anche oggi il ramo più numeroso, con circa 17.000 frati, e tra le loro tante benemerenze hanno, ad esempio, la fondazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (che si deve all’inesausta e geniale animazione del laicato da parte di padre Agostino Gemelli nel primo dopo guerra) e la polivalente opera dell’Antoniano di Bologna, resa famosa tra l’altro dal festival della canzone dei bambini, lo Zecchino d’oro. I Frati Minori sono i custodi di molti santuari francescani assai rinomati: S. Maria degli Angeli, S. Damiano e l’Eremo delle Carceri ad Assisi, La Verna, lo Speco di Narni e i quattro Eremi della Valle Reatina.
-
Infine vi è sempre stata una corrente che ha ricercato una fedeltà ancor maggiore all’eredità spirituale del Poverello d’Assisi: essa ha avuto numerosi cultori già nei due rami precedenti e ha sempre cercato di dar vita ad un terzo ramo che potesse esistere accanto agli altri due. Questa corrente era particolarmente forte e numerosa proprio nel periodo in cui è avvenuto il distacco degli Osservanti dai Conventuali, ossia agli inizi del ’500. E sull’onda di quella prima separazione è stato possibile far partire anche la seconda: con la Bolla Religionis zelus di Clemente VII, del 3 luglio 1528, la Santa Sede autorizzava la nascita del terzo ramo dell’albero francescano, quello dei Frati Minori Cappuccini appunto.
Alcune delle ragioni per cui anche questo terzo ramo di francescani si è guadagnato fin dall’inizio la benevolenza della gerarchia ecclesiastica, la stima dei governanti e l’amore del popolo, rendendo possibile la sua rapida diffusione per l’Italia prima, e dal 1574 in poi per tutta l’Europa, sono le seguenti:
-
la loro vita semplice e povera condotta in piccoli conventi situati appena fuori dai centri abitati e quindi più capaci di favorire la vita contemplativa;
-
il loro zelante apostolato fatto in primo luogo col buon esempio dei tanti “frati questuanti”, così familiari anche tra i contadini delle nostre campagne fino a pochi anni fa, e con una predicazione rinnovata nello stile e nei contenuti così da essere aderente ai bisogni umani e alle aspirazioni spirituali della gente semplice, che essi sapevano introdurre con finezza anche alle profondità della meditazione o “orazione mentale”;
-
la vicinanza affettuosa alla gente umile delle città e delle campagne nelle prove personali e nelle pubbliche calamità, per cui fin dal principio i Cappuccini sono stati considerati in modo particolare come “i frati del popolo”.
Portano la barba (più o meno lunga e più o meno… bianca) e sono attualmente circa 11.000. Gli unici due luoghi delle origini francescane che hanno in cura sono gli Eremi di Montecasale e Le Celle di Cortona. Hanno una lunga tradizione di figure assai popolari: S. Felice da Cantalice, S. Giuseppe da Leonessa, S. Crispino da Viterbo, S. Serafino da Montegranaro, S. Francesco Maria da Camporosso (il “Padre santo” di Genova)… nei secoli passati; e, più vicino a noi, S. Leopoldo Mandic´, S. Padre Pio da Pietrelcina e il noto volto del Servo di Dio p. Mariano da Torino (il cui apostolato in TV è oggi continuato con efficacia da un altro cappuccino, p. Raniero Cantalamessa, che è un profondo teologo e da oltre 25 anni è “Predicatore Apostolico”, ossia predicatore ufficiale della Santa Sede, un compito che da alcuni secoli è riservato ad un Frate del nostro Ordine).
Di particolare interesse è poi il fatto che tra i Cappuccini sia fiorita una serie di personalità che hanno segnato la loro epoca con servizi di straordinaria levatura non solo spirituale, ma anche politico-diplomatica. Un fenomeno che può trovare una spiegazione plausibile nella grande libertà interiore e nella netta presa di distanza dalle cose del mondo che ha caratterizzato l’esperienza francescana dei Cappuccini. Per fare solo alcuni esempi, basterà accennare a S. Lorenzo da Brindisi (1559-1619), erede di S. Giovanni da Capestrano nell’animare le milizie cristiane in difesa della civiltà europea assalita dai turchi (il Capestrano a Belgrado nel 1456, Lorenzo ad Alba Reale presso Budapest nel 1601); Giacinto da Casal Monferrato (1575-1627), per più di vent’anni sapiente ed autorevole consigliere degli imperatori asburgici nel far sorgere quella “Lega Cattolica” che sola poté contrastare in modo efficace il dilagare delle forze protestanti per l’intera Europa; Giuseppe du Tremblay da Parigi (1577-1638), famoso consigliere del Cardinal Richelieu, instancabile promotore di missioni in Medioriente, noto come “eminenza grigia” a motivo del suo abito cappuccino; Valeriano Magni da Milano (1586-1661), uomo di eminente cultura, per molti decenni legato pontificio presso varie corti europee; ed infine un autentico gigante del quale si è parlato molto alcuni anni fa sui principali quotidiani europei in occasione della sua beatificazione avvenuta il 27 aprile del 2002: si tratta di quel Marco d’Aviano in Friuli (1631-1699) a cui si deve, nel 1683, l’ultima e definitiva vittoria delle truppe cristiane contro l’enorme armata turca che stava per far cadere Vienna, capitale dell’impero e ultimo baluardo per la difesa della cristianità: le guidava il valoroso sovrano polacco Giovanni Sobieski, che subito dopo poté veder realizzato il suo desiderio di avere finalmente i Cappuccini anche in Polonia 2.
ALCUNE NOTE SUi CAPPUCCINI DELLA PRIMA META' DEL ‘600
Nelle pagine introduttive all’opera monumentale sul primo secolo di storia dell’Ordine3, il Cargnoni scrive che il cappuccino autentico, “pur avendo compiuto eroici sacrifici o troncato legami forti, non è però duro di cuore, stoico, cinico o masochista. È un uomo che ha il genio del buon cuore. è una figura nobile, gentile, di affetti profondi, di generose amicizie, gioviale e spiritosa e popolarmente simpatica. Per questo il popolo ha avuto sempre un debole per i Cappuccini. Li ha amati a suo modo, con tenerezza e forza, con rispetto e trastullo, come cosa propria”.
E dopo aver riferito alcune testimonianze letterarie da diversi paesi europei che comprovano questa sua affermazione (W. Mendel, L. Palomes, Réné de Chateaubriand, P. Lacordaire, L. Veuillot…), continua:
“Anche in Italia due autori italianissimi, che vissero i momenti difficili di una sofferta maturazione sociale e politica che sfociò nell’unità della nazione e preparò la democrazia popolare4, dipinsero in diversa proporzione, ma con uguale ammirazione, le caratteristiche dei frati cappuccini: sono Vincenzo Gioberti e Alessandro Manzoni”.
E prosegue:
“Gioberti, in una pagina del suo Gesuita moderno, spiega i motivi della sua simpatia verso questi frati popolari, così spiritualmente nobili, evangelici, penitenti:
‘Benché uomo del secolo decimo nono, io confesso di amare i cappuccini… Il cappuccino è il frate del popolo. E finché vi sarà un popolo, come quello delle nostre campagne, costretto a sudar sulla gleba e a rusticarsi nei campi, una confraternita religiosa che si dedichi specialmente a dirozzare quegli animi e ad addolcir quei sudori, emulandone l’asprezza coll’esempio, e nobilitandone la bassezza colla religione, potrà sempre essere di gran frutto morale e civile. Il cappuccino è il tipo dell’uomo povero, faticante e plebeio, innalzato e purificato dall’Evangelo. Umiltà e dignità, semplicità e grandezza si accopiano nella sua persona, in virtù di quell’idea che, accordando gli estremi, vi forma un’armonia cristiana.
Poetico è il cappuccino anco all’apparenza, perché l’abito, la portatura, i modi rappresentano idealmente il genio del popolo, che è poetichissimo; e l’Ordine cappuccinesco è la democrazia del chiostro… La barba e il saio del cappuccino piacciono anco in pittura, e hanno un non so che di antico e di primitivo, che ricorda l’Oriente e i tempi patriarcali. Forse tal poesia deriva in parte da più alta origine e riverbera dalla rimembranza del primo fondatore (San Francesco), alla cui semplicità antica e greggia mirò il (Matteo) da Bascio nella sua riforma. E davvero nel cappuccino sopravvive e rinverdisce del continuo quel vecchio tipo di Francesco d’Assisi così bello, così poetico, così italiano…’.
è stato però Alessandro Manzoni, il più grande romanziere della letteratura italiana, ad offrire il ritratto più penetrante e suggestivo, più storico e ideale insieme, dei frati cappuccini. La sua famosa pagina merita di essere qui ricordata”.
Il Cargnoni continua poi riportando questo bel passo dei Promessi Sposi, che nel romanzo precede immediatamente l’episodio del “miracolo delle noci” raccontato da fra’ Galdino. Scrive dunque il Manzoni:
“Al vedere che una povera ragazza mandava a chiamare, con tanta confidenza, il padre Cristoforo, e che il cercatore accettava la commissione, senza maraviglia e senza difficoltà, nessun si pensi che quel Cristoforo fosse un frate di dozzina, una cosa da strapazzo. Era anzi un uomo di molta autorità, presso i suoi e in tutto il contorno; ma tale era la condizione de’ cappuccini, che nulla pareva per loro troppo basso, né troppo elevato. Servire gl’infimi, ed esser servito da’ potenti; entrar ne’ palazzi e ne’ tuguri, con lo stesso contegno d’umiltà e di sicurezza; esser talvolta, nella stessa casa, un soggetto di passatempo e un personaggio senza il quale non si decideva nulla; chieder l’elemosina per tutto, e farla a tutti quelli che la chiedevano al convento: a tutto era avvezzo un cappuccino. Andando per la strada, poteva ugualmente imbattersi in un principe che gli baciasse riverentemente la punta del cordone, o in una brigata di ragazzacci che, fingendo d’esser alle mani tra loro, gl’inzaccassero la barba di fango. La parola ‘frate’ veniva, in que’ tempi (siamo intorno al 1630), proferita col più grande rispetto e col più amaro disprezzo: e i cappuccini, forse più d’ogni altro Ordine, erano oggetto de’ due opposti sentimenti e provavano le due opposte fortune; perché, non possedendo nulla, portando un abito più stranamente diverso dal comune, facendo più aperta professione d’umiltà, s’esponevano più da vicino alla venerazione e al vilipendio che queste cose possono attirare dai diversi umori e dal diverso pensare degli uomini”5.
A questo punto ci pare pertinente il quesito che si poneva il noto saggista Mario Pomilio, uno degli esponenti più brillanti di quella scuola di scrittori cattolici milanesi che ha saputo raccogliere l’eredità del Manzoni e l’ha fatta giungere sino ai nostri giorni (alcuni altri nomi assai noti sono Luigi Santucci, Giovanni Testori e Italo Alighiero Chiusano, tutti scomparsi di recente):
“Come mai, - egli si chiedeva - dei tanti Ordini religiosi operanti nel ’600, vediamo sulla scena de ‘I Promessi Sposi’ solo i Cappuccini?”. E continuava: “La nostra mente va ad un fatto sintomatico ed estremamente qualificante: attraverso i Cappuccini - l’ultimo ramo uscito dal gran tronco francescano nel 1528 - il Manzoni raccoglie e rilancia, come cardine del proprio messaggio religioso, l’insegnamento francescano nella sua parte più evangelica: la noncuranza dei beni terreni, la religiosità caritativa, lo stare a contatto diretto con la gente, l’operare a favore degli umili come un Ordine essenzialmente popolare…”6.
E passando la parola ad un altro sagace studioso di storia della Chiesa, l’inglese Cuthbert of Brighton, autore tra l’altro di una ancor solida Life of saint Francis e fondatore, agli inizi degli anni ’30 del secolo appena trascorso, del benemerito e tuttora attivissimo Istituto Storico dei Cappuccini in Roma, leggiamo:
“Mentre negli ultimi decenni del ’500 e i primi del ’600 al di là delle Alpi i Cappuccini andavano diffondendosi col favore della nobiltà e del popolo (come s’è detto, solo nel 1574 Gregorio XIII li aveva autorizzati ad “esportare” il loro carisma), in Italia essi erano già saliti con la predicazione e la loro molteplice attività sociale all’apogeo della loro influenza sulla mente e sulla fantasia del popolo italiano, tanto dei grandi quanto dei piccoli. Il loro spirito caritativo ed umanitario li rese i confidenti di tutti i poveri e di tutti i travagliati; il loro indomito coraggio s’interpose spesso tra gli oppressi e i tiranni. Come predicatori, con il loro linguaggio semplice, immediato ed efficace sapevano toccare il cuore della folla tanto degli illetterati che dei dotti: tutti accorrevano ai loro discorsi. Durante le pubbliche calamità (ed erano abbastanza frequenti), i Cappuccini furono sempre tra i primi a consacrarsi al servizio dei fratelli. Non è un caso se il Manzoni, nel suo immortale romanzo I Promessi Sposi, ci ha lasciato in Padre Cristoforo un vivo ritratto del tipo del cappuccino italiano.
Il nome di Padre Cristoforo non rispondeva a un Cappuccino solo; ma a molti che si potevano trovare non solo in Milano, ma dovunque fosse un convento cappuccino. Sotto vari nomi, è sempre un Padre Cristoforo che viene venerato con riconoscente amore in tutta Italia: dalla Lombardia alle Puglie e alla Sicilia.
Nelle Puglie si chiamava Giacomo da Molfetta (di lui il Cuthbert aveva già delineato un bel profilo alle pp. 172-174); in Sicilia, Arcangelo da Sacca; a Firenze, Pier Francesco Mainardi; a Parma, Romualdo dei Conti Castellina; a Lucca, Giuseppe di Fulvio Dondoli; a Milano, Felice Casati; in altri luoghi si chiamava con nomi che ancora risuonano sulle labbra del popolo. Molti di questi ‘Padri Cristofori’ erano uomini che potevano trattare con Don Rogrigo, con qualsiasi prepotente signorotto o con ufficiali di corte come fossero loro pari, anzi col vantaggio di appartenere a un Ordine non legato ad alcuna classe, dal momento che l’abito cappuccino in una stessa comunità religiosa era indossato da uomini di ogni condizione sociale… Non è facile spiegare in poche righe le ragioni di questo ascendente dei Cappuccini sulla variabile società del loro tempo, perché esso non derivò soltanto dalla loro carità e dalla loro compassione per le altrui miserie. Alcuni di quei religiosi, infatti, benchè fossero dei censori severi o dei minacciosi profeti, non di meno venivano rispettati. Ciò che forse li rendeva tanto cari era l’aperto disinteresse che accompagnava l’austerità della loro vita e la loro attività sociale. Nessuno poteva dire che essi cercasserose stessi, sia individualmente che collettivamente. La tradizione di una rigida povertà si manteneva ancor molto viva tra essi. Infatti una delle ragioni che spiega la loro popolarità è che essi ricercavano sempre dalla caritù del popolo assai meno di quanto ricercavano gli altri religiosi… Questo disinteresse era tanto più rilevante in quanto che i frati lavoravano incessantemente non solo nella predicazione, ma anche nel campo dell’attività sociale. E tuttavia non tutti i ‘Padri Cristofori’ erano predicatori popolari e neppure lavoratori sociali nel senso ordinario della parola; non di rado erano semplici fratelli laici illetterati…”7.
L’autore continua presentando poi un breve profilo di san Serafino da Montegranaro. E che quanto ha detto sia vero, lo attesta il fatto che buona parte dei molti santi e beati cappuccini sono proprio dei semplici fratelli laici illetterati: oltre a s. Serafino, sono tali s. Felice da Cantalice, s. Crispino da Viterbo, sant’Ignazio da Laconi, s. Felice da Nicosia, s. Bernardo da Corleone, s. Francesco Maria da Camporosso, s. Corrado da Parzham, il beato Nicola da Gesturi ed altri ancora….
************************
Ci pare bello concludere queste brevi note dando di nuovo la parola al grande Manzoni. Ascoltiamo il gustoso racconto del miracolo delle noci che egli pone sulle labbra di fra’ Galdino, uno di questi “semplici fratelli laici” 8 (in nota il bel commento del Sapegno):
“Ma, nel mentre che bilanciavano i partiti, si sentì un picchietto all’uscio, e, nello stesso momento, un sommesso ma distinto: “Deo gratias”. Lucia, immaginandosi chi poteva essere, corse ad aprire; e subito, fatto un piccolo inchino famigliare, venne avanti un laico cercatore cappuccino, con la sua bisaccia pendente alla spalla sinistra, e tenendone l’imboccatura attorcigliata e stretta nelle due mani sul petto.
“Oh fra’ Galdino!” dissero le due donne.
“Il Signore sia con voi”, disse il frate. “Vengo alla cerca delle noci” (…)
“E come va la cerca?”, chiese Agnese (…)
“Poco bene, buona donna, poco bene. Le son tutte qui”. E, così dicendo, si levò la bisaccia d’addosso, e la fece saltar tra le due mani. “Son tutte qui; e, per mettere insieme questa bella abbondanza, ho dovuto picchiare a dieci porte”.
“Ma! Le annate vanno scarse, fra’ Galdino; e, quando s’ha a misurar il pane, non si può allargar la mano nel resto”.
“E per far tornare il buon tempo, che rimedio c’è, la mia donna? L’elemosina. Sapete di quel miracolo delle noci, che avvenne, molt’ anni or sono, in quel nostro convento di Romagna?”.
“No, in verità; raccontatemelo un poco”.
“Oh! dovete dunque sapere che, in quel convento, c’era un nostro padre, il quale era un santo, e si chiamava il padre Macario. Un giorno d’inverno, passando per una viottola, in un campo di un nostro benefattore, uomo dabbene anche lui, il padre Macario vide questo benefattore vicino a un suo gran noce; e quattro contadini, con le zappe in aria, che principiavano a scalzar la pianta, per metterle le radici al sole. ‘Che fate voi a quella povera pianta?’, domandò il padre Macario. ‘Eh! padre, son anni e anni che la non mi vuol far noci; e io ne faccio legna’. ‘Lasciatela stare, disse il padre: sappiate che, quest’anno, le farà più noci che foglie’. Il benefattore, che sapeva chi era colui che aveva detta quella parola, ordinò subito ai lavoratori che gettassero di nuovo la terra sulle radici; e, chiamato il padre, che continuava la sua strada, ‘padre Macario’ - gli disse - la metà della raccolta sarà per il convento’. Si sparse la voce della predizione; e tutti correvano a guardare il noce. In fatti, a primavera, fiori a bizzeffe, e, a suo tempo, noci a bizzeffe.
Il buon benefattore non ebbe la consolazione di bacchiarle; perché andò, prima della raccolta,
a ricevere il premio della sua carità. Ma il miracolo fu tanto più grande, come sentirete.
Quel brav’uomo aveva lasciato un figliuolo di stampo ben diverso. Or dunque, alla raccolta, il cercatore andò per riscuotere la metà ch’era dovuta al convento; ma colui se ne fece nuovo affatto, ed ebbe la temerità di rispondere che non aveva mai sentito dire che i cappuccini sapessero far noci. Sapete ora cosa avvenne? Un giorno (sentite questa) lo scapestrato aveva invitato alcuni suoi amici dello stesso pelo, e, gozzovigliando, raccontava la storia del noce, e rideva de’ frati. Que’ giovinastri ebber voglia d’andar a vedere quello sterminato mucchio di noci; e lui li mena sù in granaio. Ma sentite: apre l’uscio, va verso il cantuccio dov’era stato riposto il gran mucchio, e mentre dice: ‘guardate’, guarda egli stesso e vede… che cosa? Un bel mucchio di foglie secche di noce.
Fu un esempio questo? E il convento, in vece di scapitare, ci guadagnò; perché dopo un così gran fatto, la cerca delle noci rendeva tanto, tanto, che un benefattore, mosso a compassione del povero cercatore, fece al convento la carità di un asino, che aiutasse a portar le noci a casa. E si fece tant’olio, che ogni povero veniva a prenderne, secondo il suo bisogno; perché noi siam come il mare che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi”.
___________
NOTE
-
Interrogato da V. Messori su quale fosse il carisma spirituale più vivace e fecondo oggi nella
Chiesa, colui che allora era ancora semplicemente il Cardinal Ratzinger rispondeva senza esitare: Credo proprio che sia il francescanesimo: è incredibile quanto ancora agisca, dopo quasi otto secoli, il lievito di Assisi! (in “Jesus”, febbraio 2000, p. 41).
2. Le trattative tra i frati e i sovrani polacchi che li volevano apostoli tra il loro popolo erano in corso da tempo, e nonostante le resistenze dei superiori maggiori ad impiantare l’Ordine in una terra ritenuta tanto fredda da rendere impossibile l’osservanza della Regola, già nel 1681 Sobieski aveva ottenuto di avere presso la sua corte i Cappuccini, e si trattava di quattro romagnoli: cf. A. MAGGIOLI, Le vicende storiche, in I Cappuccini in Emilia-Romagna. Storia di una presenza, a cura di G. POZZI e P. PRODI, EDB, Bologna 2002, p. 29. Per una breve, ma incisiva presentazione di questi “frati diplomatici”, cf. M. D’ALATRI, Antesignani dell’Europa unita, Vita Francescana, Roma 1979, pp. 17-56.
3. I Frati Cappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo, a cura di C. CARGNONI, E.F.I., Perugia 1988-1993: opera in 6 volumi che il Cargnoni ha diretto e realizzato con rigore scientifico insieme a vari altri illustri collaboratori e che è composta di ben 12.383 pagine.
4. Si tratta di quel secolo XIX che ha visto ben due infauste soppressioni di tutti gli Ordini religiosi, quella napoleonica del 1806-1810 e quella del neonato Regno d’Italia nel 1866, che hanno recato danni incalcolabili anche al patrimonio culturale e artistico del nostro Paese.
5. Cf. I Frati Cappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo, op. cit., pp. XXXIV-XL.
6. Cf. Gli Eroi del Manzoni, Edizione a cura de Il Sabato, 1985, p. 38.
7. Cf. CUTHBERT OF BRIGHTON, I Cappuccini. Un contributo alla storia della Controriforma, Faenza 1930, p. 391- 393.
8. Questo il commento che troviamo nell’edizione a cura di N. Sapegno e G. Viti: “Inizia così, in un’atmosfera che sa leggermente d’incanto e di novella, il racconto del miracolo delle noci… ingenua ma convinta espressione di uno spirito umilmente francescano. E tutto qui sa di francescano, e ha il profumo dei Fioretti: dalla figura di padre Macario, che va per il mondo come uno dei tanti fraticelli che seguirono Francesco, alla commozione per la “povera pianta” che sta per essere scalzata e che il buon frate difende; da quel parlare semplice, popolano e stupito - fiori a bizzeffe… noci a bizzeffe - , alla punizione divina che deve essere di “esempio” per tutti; e, infine, alla conclusione edificante, anche se un po’ oratoria: dove l’immagine grandiosa del mare che riceve acqua da tutte le parti e poi torna a distribuirla a tutti i fiumi, rende con singolare efficacia il senso della carità cristiana che non conosce né limiti né soste”: A. MANZONI, I Promessi Sposi, Le Monier, Firenze 1981, cap. III, pp. 61-62.
Anno |
Province |
Conventi |
Frati |
1529 |
|
4 |
30 ca. |
1536 |
12 |
|
700 ca. |
1550 |
15 ca. |
|
2.500 ca. |
1575 |
18 |
|
3.300 ca. |
1578 |
21 |
325 |
3.746 |
1599 |
30 |
689 |
7.868 |
Anno |
Province |
Conventi |
Frati |
1602 |
30 |
713 |
8.803 |
1605 |
34 |
757 |
9.595 |
1608 |
35 |
808 |
10.708 |
1613 |
39 |
918 |
12.461 |
1618 |
40 |
1030 |
14.846 |