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Gianfranco Chiti (1921-2004) entrò nell’esercito giovanissimo, e lì coltivò, insieme alle virtù militari, una vita interiore che andò maturando attraverso le vicende della guerra, della prigionia e poi della responsabilità di comandante, fino alla scelta della vita religiosa tra i frati cappuccini. È stato un crescendo nell’«amicizia» con Dio, e in particolare con la passione di Cristo, nella quale Chiti andò scoprendo il senso «corredentivo» delle proprie sofferenze e che lo sostenne quando per esempio rischiò la vita per sottrarre alcuni ebrei alla deportazione. La solidità della sua personalità dalle lettere che scrisse a padre Edgardo Fei, il suo cappellano militare, dopo la resa del suo battaglione il 5 maggio 1945 e il successivo internamento nei campi angloamericani di Tombolo, Coltano e Laterina, qui pubblicate per la prima volta, che gettano nuova luce sul giovane ufficiale dei Granatieri di Sardegna di cui è in corso il processo di beatificazione.
(fonte: https://ares.mi.it/it/contents/in-primo-piano/?id=4266)