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Tradizionalmente noi Frati siamo conosciuti semplicemente come “i Cappuccini”; anche il luogo nel quale sorge il convento prese lo stesso nome. Realtà simile alle altre cittadine calabresi che custodiscono le nostre case.

Se meditiamo ulteriormente, ci accorgiamo anche del fatto che nei vari dialetti noi religiosi siamo “i Monaci”.
Questo appellativo rivela una realtà storica ed anche un fraintendimento. La prima: le nostre terre sono state abitate – secoli fa – da monaci ed eremiti (il sostantivo è rimasto nel gergo comune). Il secondo: rischiamo di essere pensati come monaci, che vivono tendenzialmente in solitudine (nelle loro giornate cercano la volontà di Dio, gli rendono il culto, lo testimoniano, vivono la sua carità).
La vita francescana e cappuccina, però, è altro! Noi siamo “Frati”: cerchiamo, cioè, di vivere la fraternità (tra di noi, nella Chiesa, in mezzo al popolo, in comunione con il creato); siamo “Minori”: esso è l’attributo tanto caro a Francesco d’Assisi, una delle peculiarità del nostro Ordine; siamo, tra le altre famiglie francescane (Minori, Minori Conventuali, Terz’Ordine Regolare), i “Cappuccini” – presenti ad Acri, ininterrottamente, dalla fine del 1500.
Ci soffermiamo un po’ di più sulla minorità. Al tempo dell’Assisiate, nella società, esistevano i Maiores (ricchi, potenti, nobili) e la gente molto povera (i Minores): Francesco, da ricco, si fece piccolo, povero, di poco conto – per amore (al Creatore ed ai fratelli). Proprio come il Figlio di Dio, che «essendo ricco, si è fatto povero per voi, affinché, mediante la sua povertà, voi poteste diventare ricchi» (2Cor 8,9).
Francesco desiderava questo per i propri Frati: «Tutti i frati non abbiano in questo alcun potere o dominio, soprattutto fra di loro … e chi tra di essi è maggiore, si faccia come il minore» (Regola non Bollata 5,9.12).
La minorità – accolta come vocazione e scelta come via da percorrere da Francesco e da Chiara – fu uno scandalo per la Chiesa del tempo, un disprezzo per la società e le vanaglorie dell’epoca. Ed oggi? È riconosciuta come virtù, proposta come strada valida per la salvezza del mondo?
Mi chiedo se la nostra vita cappuccina parla – implicitamente e palesemente – di minorità, di rinunce ai primi posti per custodire un bene più grande.
Mi domando – ulteriormente – se servono gli arrivismi, il carrierismo, il prestigio, il potere, i tanti soldi. Ci ricordano, infatti, le sante Scritture: «Nessuno può riscattare se stesso, o dare a Dio il suo prezzo. Per quanto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare per vivere senza fine, e non vedere la tomba» (Sal 48).
Le virtù – non solo quelle dichiarate “cristiane” – non fanno rumore, non appaiono; ma scolpiscono l’animo della persona umana, edificano fondamenta che nessun terremoto potrà mai abbattere, gettano ponti di bene e di comunione.
Tuffiamoci nell’avventura della carità, siamo coraggiosi nella perseveranza delle piccole cose quotidiane; ed allora, nel nostro mondo interiore ed intorno a noi, si accenderanno tante fiammelle della speranza, che nessun vento – pur impetuoso – riuscirà a smorzare.
Minori e tuttavia forti; poveri e tuttavia ricchi, piccoli e tuttavia grandi!

(fonte: https://www.acrinrete.info/Articolo.asp?id=14662 )

 
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