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di Don Sergio Reali
E’ vero. La fede è un dono che viene dall’alto ma è anche la meta di un percorso fatto di ricerca e di esperienze. Il Regno di Dio - come ci ricorda il Vangelo- “ è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa” (Cfr Mc 4,26-27). Eppure, questa crescita irreversibile del Regno, in evoluzione verso la totale ricapitolazione in Cristo (Parusìa) è affidata, in forza del battesimo, anche ad ognuno di noi; siamo infatti allo stesso tempo pietre e muratori nel grande edificio della Chiesa che vive e si perpetua nel tempo.
Oggi siamo cristiani, siamo Chiesa perché la generazione che ci ha preceduto ci ha trasmesso la propria esperienza, ci ha accompagnato nel credere, ci ha fatto conoscere la Parola sempre attuale del vangelo…ci ha insegnato a pregare. Esistiamo perché credenti hanno generato e continuano a generare altri credenti.
Nelle terre remote dove il vangelo non è giunto o non è stato ancora compreso ed accolto, questa generazione alla fede è oggetto della missione e dell’annuncio ad extra ma nei paesi di antica tradizione cristiana essa avviene (o meglio: avveniva) per trasmissione osmotica in seno alle famiglie e nell’ambiente socio-culturale in cui si cresce. In altre parole: nelle terre di missione la fede viene annunciata, nei paesi cristianizzati viene (o veniva) conservata.
Si, la civiltà cristiana è oggi strutturalmente in crisi e sempre più minoritaria !
Questo non va imputato solo alla massiccia immigrazione dai paesi islamici, ne’ alla più o meno evidente persecuzione del cristianesimo da parte del laicismo dogmatico (massoneria in prima linea!) ma alla incapacità, ormai cronica, di trasmettere la fede attraverso i canali tradizionali.
Già nel 1943 nel suo libro France, pays de mission? L’abate Godin aveva denunciato, attraverso un’oculata indagine sociologica, quanto la fede cristiana e il sentimento di appartenenza alla Chiesa fossero lontani dall’esperienza di vita della pur cattolica Francia. A distanza di 70 anni possiamo dire che non solo la Francia ma l’Europa intera è ormai terra di missione.
Non dobbiamo più conservare, difendere o trasmettere il Vangelo ma dobbiamo ri-annunciarlo. Questo non per rivendicare una preminenza religiosa, culturale o politica ma per amore dell’uomo a cui Cristo vuole, attraverso la Chiesa, continuare a donare salvezza e speranza.
Da qui l’urgenza della una nuova evangelizzazione. Molti ne hanno scritto e molti ne scriveranno, a noi che viviamo il carisma di Nuovi Orizzonti, questo non può che rallegrare anche se – mi si perdoni l’ardire – ho l’impressione (…l’esperienza!) che negli ambienti ecclesiali sia più diffusa la prassi del dibattere, analizzare, studiare, progettare piuttosto che l’azione pratica di andare ad annunciare mettendoci la faccia.
Scopo di questo mio intervento non è però ribadire un concetto e un’urgenza che ormai dovrebbero essere acquisiti, ma riflettere sulla credibilità che deve accompagnare l’annuncio del vangelo.
Più volte a Nuovi Orizzonti ci siamo ripetuti che la prima evangelizzazione è la conversione degli evangelizzatori, la guarigione del cuore, lo sforzo di coerenza con il Vangelo. L’impegno per una nuova evangelizzazione deve pertanto comportare e presupporre una radicale conversione della Chiesa nelle sue strutture e nella sua immagine.
Chi mi conosce sa bene quanto io ami la Chiesa, quanto mi stiano a cuore la bellezza e la verità nei segni della liturgia (sono stato per oltre 20 anni cerimoniere diocesano) e quanto io sia legato alle strutture giuridico-canoniche (…sono stato per 7 anni moderatore della Curia ) …ma oggi mi chiedo se e quanto una certa forma favorisca la adesione a Cristo e alla Chiesa.
Andando evangelizzare nei luoghi concreti dove la gente vive, la difficoltà più grande che si incontra è sfatare l’immagine, non sempre frutto di pregiudizio, che la Chiesa ha acquisita.
Paolo VI ebbe a dire “L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni. E’ una massima intramontabile: non si può essere evangelizzatore se non si vive con coerenza quanto si annuncia !
Ma… non si può imputare alla sola testimonianza del singolo l’efficacia dell’annuncio. La Fede ri-proposta è “Fede della Chiesa” e pertanto questa ne deve essere trasparenza anche nelle sue forme storiche.
La gente della strada, anche per la ben congegnata cultura denigratoria nei confronti del Cristianesimo, non ha quasi mai esperienza diretta della vita umile e modesta delle comunità parrocchiali, non conosce la silenziosa testimonianza evangelica di tanti vescovi e sacerdoti, dimentica in fretta il fatto che la Chiesa è da sempre in prima linea nella promozione umana e nella lotta ad ogni forma di disagio. La massima parte della gente vede la Chiesa per luoghi comuni e in maniera distorta come una istituzione ricca, politicizzata, corrotta…
In effetti certe celebrazioni dove lo sfarzo fa da padrone, certi prelati agghindati come alberi di natale, certe parrocchie ridotte a botteghe non aiutano certo a sfatare questi pregiudizi!
Non si può rilanciare in maniera efficace la predicazione del Vangelo senza una propedeutica revisione degli aspetti esteriori e formali della Chiesa e senza riscoprire ad intra una più radicale conversione all’essenzialità. Per annunciare credibilmente Cristo, è necessario essere cristiani e per la Chiesa è necessario essere specchio della forma con cui Cristo si è manifestato agli uomini. La croce, nella sua nudità e la sua forza deve essere riscoperta come paradigma su cui declinare tutta la vita della Chiesa.
Le nostre celebrazioni, devono essere il luogo dove meglio si esprime il dovere e l’esigenza di dar gloria a Dio, dove il bello e il solenne sono tributo al Sommo ma… anacronistici troni, sfavillanti pietre preziose (in realtà quasi sempre vetri colorati!), trine e merletti, non aiutano certo, nelle attuali contingenze, ad annunciare Chi è nato in una stalla e morto nudo sul supplizio degli schiavi.
La costituzione conciliare Sacrosantum Concilium al n. 34 aveva stabilito che “I riti splendano per nobile semplicità” ma ho l’impressione di assistere negli ultimi anni ad una involuzione di tendenza.
L’idea populista di una Chiesa completamente povera è, nella situazione concreta dell’oggi, inapplicabile ma per acquisire credibilità, uno stile più evangelico è irrinunciabile. Il Concilio Vaticano II, nella Lumen Gentium n. 8, ammonisce: “Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la verità e la grazia. (…). Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa e chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. (…) la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione.”
www.nuoviorizzonti.org - 12 marzo 2012