

P. Marko Rupnik S.J. spiega al Capitolo generale l'opera da lui compiuta nella nuova chiesa del Collegio internazionale.
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Ieri sera, durante la celebrazione del Vespro, p. Marko Ivan Rupnik S.J., ha tenuto una meditazione all'Assemblea capitolare riunita in preghiera, illustrando il significato delle opere da lui compiute nella nuova chiesa del Collegio internazionale. Iniziando la sua riflessione dalla porta principale di accesso alla chiesa, in cui è raffigurata l'Annunciazione, che sta a ricordare la realtà del Mistero dell'Incarnazione, p. Rupnik si è poi soffermato maggiormente sul bellissimo mosaico situato nella parete di fondo, dietro l'altare, in cui sono raffigurati, alle due estremità, gli episodi biblici del roveto ardente e dell'invio dei discepoli, mentre in alto, in posizione centrale, domina l'immagine del Cristo Pantocràtor.
L'Artista ha chiarito profondamente il significato di questa composizione raffigurativa: l'episodio veterotestamentario del roveto ardente viene raffigurato con l'immagine di Mosè, rivolto verso il roveto, avente il volto coperto da un velo. Tale immagine chiaramente rimanda alla teologia paolina (2Cor 16 ss), secondo cui Mosè, in quel frangente fondamentale della storia del popolo ebraico, ha visto il roveto ardere ma non consumarsi; ha visto, ma non in pienezza, poichè Mosè e il popolo non erano ancora in grado di comprendere appieno la realtà che soggiaceva a quella visione, a causa di quel "velo". I padri della chiesa, in primis i siriaci (cui seguiranno poi tutti gli altri a partire dal IV - V secolo) da sempre hanno letto l'episodio del roveto che arde e non si consuma, come manifestazione della Vergine Madre, applicata sia alla Chiesa sia a Maria Santissima. Mosè vide una teofania: un roveto che arde e non si consuma, tuttavia questa è solo un'immagine. La realtà è la manifestazione della Vergine Madre, la cui divina maternità ha innalzato e consacrato la sua umanità. Ecco perché nel mosaico troviamo, immediatamente dietro le fiamme del roveto integro, l'immagine di Maria Santissima che mostra il volto del Figlio Gesù. L'episodio del roveto ardente rimanda inevitabilmente all'esperienza di liberazione dalla schiavitù egiziana cui il popolo ebraico era sottoposto. Ed ecco il nesso che collega l'episodio veterotestamentario a quello neotestamentario raffigurato sulla parte destra del mosaico: l'invio dei discepoli. L'annunzio della Buona Novella è anzitutto "esercizio" di liberazione, non da una schiavitù, per così dire, imposta dagli uomini, ma dalla schiavitù per eccellenza: il peccato. I due discepoli raffigurati si presentano uno alla destra e uno alla sinistra di Gesù, il quale è posto "in mezzo a loro". Portano con sè, secondo il comando del Maestro, il bastone che, sempre secondo l'esegesi patristica, raffigura la croce: i discepoli sono chiamati a compiere la predicazione sotto il segno della redenzione. Annunciare la buona novella è proclamare che tutto è stato redento e tutto il creato è e può essere letto come "sacramento" di Lui, della Sua presenza "in mezzo", nel mondo. Per lo stesso motivo i discepoli sono raffigurati, fedelmente al passo evangelico, con i sandali...quei sandali che Mosè ha dovuto togliersi dinanzi al roveto ardente. Un discepolo reca in mano dell'olio, per guarire li infermi (Mc 6, 7-13), e l'altro discepolo ha in mano un cartiglio, raffigurante "la Parola". Tale cartiglio è rappresentato in forma allungata e prospicente: segno che è la Parola a farsi via, strada nel loro cammino. Entrambi i discepoli sono tratteggiati nell'atto di camminare, mentre Gesù, nel mezzo, sembra fermo. Tale finezza artistica sta ad indicare la presenza stabile di Gesù in mezzo ai suoi riuniti nel suo nome (Mt 18, 20). Gesù è la presenza.
Tutta la storia della salvezza (l'opera dei discepoli e il cammino della chiesa che celebra il mistero di Cristo) è ricapitolata in Lui e definitivamente realizzata dalla presenza e dalla benedizione del Cristo Pantocràtor che, da sempre è l'immagine del Cristo creatore e redentore. Tale ricapitolazione è raffigurata con dei tratti mosaicali che rappresentano il collegamento tra le scene sopracitate dell'Antico e del Nuovo Testamento, ma anche tutto il creato, fino a formare le linee di un grande calice che racchiude il Cristo benedicente.
Da sempre nell'architettura sacra l'abside rappresenta il grembo del Padre e l'altare è Cristo, che è nel seno del Padre. Ecco perchè l'abside e l'altare rappresentano il punto di convergenza di tutta l'aula liturgica: tutti guardano a Lui. L'unità tra il Cristo Pantocràtor e l'altare dice anche questo guardare a Lui: tutti, nella liturgia, siamo suoi commensali, partecipi in pienezza della sua benedizione che ci ricapitola in Lui. Lo sappiamo bene, in ogni eucarestia avviene una "doppia transustanziazione": del pane nel Corpo di Cristo, e di noi in Lui. Nella celebrazione della Santa Messa noi ci cibiamo del suo Corpo e noi siamo costituiti Suo Corpo nella piena comunione con Lui e tra di noi.
Non possiamo far altro che ringraziare il p. Marko per questo capolavoro d'arte sacra che ha riempito di significato lo spazio della preghiera dei frati del Collegio, rendendolo anch'esso uno spazio formativo: nella liturgia avviene la nostra formazione più vera, e anche l'arte ci aiuta in questo crescere nella comunione-liberazione in Cristo Salvatore, del quale siamo chiamati a portare testimonianza in ogni continente.
fr. Matteo Siro
Segretario CIMP Cap
23/08/2012