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Il domenicano inglese ha tenuto la prolusione al Seraphicum
di Maria Teresa Pontara Pederiva
“Il Cristianesimo in Occidente potrà fiorire solo se riusciremo a coinvolgere l’immaginazione dei nostri contemporanei”. Ne è convinto il domenicano Timothy Radcliffe, tornato a Roma in questi giorni dalla sua attuale residenza di Oxford. Invitato a tenere la prolusione all’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Università di san Bonaventura, Radcliffe – già Maestro generale dal 1992 al 2001, teologo fondamentale e docente di Nuovo Testamento – ha analizzato quella che definisce “la più grande sfida per il Cristianesimo di oggi”: l’ateismo non ci offre solo una sfida intellettuale, quanto piuttosto una sull’immaginazione.
Con l’esperienza di chi nelle sedi più disparate si trova costantemente a dialogare con intellettuali di diversa matrice, ma soprattutto atei – come di recente con Richard Dawkins e l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams – Radcliffe ricordava il film Gli uomini di Dio (che narra la tragica vicenda dei monaci trappisti in Algeria) e l’impatto che ha avuto anche sui non credenti: “Il Cristianesimo è strano e contro-culturale perché noi vediamo il significato universale incarnato in particolari, limitati, uomini mortali che vivono assieme”. Come accaduto anche ai santi che “hanno rifiutato identità preconfezionate offerte dalla società, ma si son permessi di essere se stessi” perché “una comunità, in opposizione ad una folla o ad una massa, è ciò che ci aiuta a vivere insieme come individui”.
Se incontri qualcuno che in metropolitana ti dice “Dio è amore!”, l’affermazione assume significato solo se già ci credi. “Allora dobbiamo aiutare a fare un viaggio verso l’illuminazione”, a partire dalle domande, come Gesù nell’intero vangelo di Giovanni (alla Samaritana, al termine della parabola del Buon Samaritano, a Maria Maddalena al mattino di Pasqua …), ma anche lasciarci interrogare dal silenzio.
“Il cristianesimo non dà le risposte, non lega la verità: questo è ciò che fa l’eresia, una teoria coerente che sistema tutto. La dottrina cristiana è sconcertante, invita ad andare avanti dentro al mistero del Dio Uno e Trino. Il dogma cristiano non è dogmatico in senso negativo”. La predicazione del Vangelo raggiunge l’ascoltatore solo quando egli stesso è in grado di trarne risposte di senso. Se i giovani di oggi hanno una comprensione della Chiesa – descritta come “conservatrice” – diversa dalle generazioni precedenti dobbiamo accettarlo nella logica dell’immaginazione altrui. Come quel poeta e sognatore di nome Karol Wojtyla che indusse i polacchi ad immaginare un mondo diverso e riuscì a far crollare un regime.
Da cristiani crediamo nella vittoria finale del bene, nonostante l’apparente sconfitta della Croce, ma sappiamo bene che i nostri contemporanei vedono la vittoria in modo diverso: si spara al cattivo, si uccide Bin Laden … e questo ci fa comprendere come, a distanza di duemila anni, la nostra società continua a vivere con un’immaginazione pre-cristiana. Eppure il priore del monastero dell’Atlas scrive nel suo diario “Signore disarma me e disarma loro”.
In un mondo che ha sete del “Dio con noi”, l’Emanuele, noi cristiani l’abbiamo respinto verso il cielo e l’abbiamo fatto diventare il Cristo vittorioso. San Francesco ha riproposto il presepio dov’è un bambino inerme, nel 1923 Max Ernst dipinse Maria che sculacciava Gesù e quel quadro fu uno scandalo: non ci siamo ancora abituati all’immagine di un Dio-uomo. Eppure i nostri contemporanei hanno bisogno di sentire che Dio è vicino: “Tu non vuoi parlare di Gesù, tu vuoi solo vedere il suo volto” scriveva Mick Jagger dei Rollins Stones. “E se Dio fosse uno di noi?”, cantava Joan Osbourne. Forse occorre che guardiamo nella direzione della fragilità umana, della povertà e dell’emarginazione, concludeva Radcliffe, per incontrare il Dio incarnato.