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"Esiste un vincolo inseparabile fra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli". E' questa una delle tante indicazioni che Papa Francesco ha inserito nell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, sull'annuncio del Vangelo, appena pubblicata. Ma che significato assume questo passaggio dal punto di vista ecclesiale? Fabio Colagrande l'ha chiesto a mons. Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano, presidente della Commissione episcopale su famiglia, lavoro, giustizia e pace della Conferenza episcopale italiana:
R. - Ponendo il Vangelo al centro è chiaro che i poveri diventano i protagonisti primi del Vangelo. Quindi c’è una correlata interconnessione in tutta l’Esortazione tra l’aspetto teologico, l’aspetto spirituale, l’aspetto pastorale e quello antropologico. E’ un documento molto, molto serrato; facile di lettura; lungo, questo sì, è abbastanza lungo, ma che lascia nel cuore un senso di pienezza per cui i poveri non sono guardati con compassione, ma con restituzione.
D. - A proposito di giustizia sociale, il Papa scrive anche “non basta non compiere errori dottrinali. Bisogna evitare anche indulgenza o complicità verso situazioni di ingiustizia”. Sono parole molto forti!
R. - Questo ha riequilibrato tutta una serie di problematiche che abbiamo avuto negli anni passati, dove certi tipi di peccati venivano evidenziati e certi altri venivano taciuti o sottaciuti come se fossero benevolmente capiti: gli affari sono affari, etc… E invece c’è una dimensione del Vangelo che accoglie e raccoglie, cambia e modifica tutta la vita del cristiano, a tutti i livelli, anche l’aspetto sociale e politico, amministrativo: cioè una testimonianza di un cristiano retto nel cuore, retto e chiaro in famiglia, casto e limpido nelle relazioni quotidiane, ma anche trasparente nelle relazioni sociali ed economiche.
D. - “La Chiesa non è una dogana, ma la casa paterna dove c’è posto per ciascuno”. Quali conseguenze deve avere questa affermazione del Papa nella nostra vita ecclesiale?
R. - Quello che lui chiama la misericordia come vertice di tutte le virtù. Lo abbiamo posto anche noi come diocesi a Campobasso: abbiamo fatto un anno dedicato al riscoprirsi figli di questo Padre di misericordia. Come è bella questa frase! E lo dice anche in relazione al confessionale. Cambia il tono delle prediche, anche se si devono dire cose difficili, non si dicano con condanna; anche se ci si trova davanti a certi preti in difficoltà o preti in situazioni complicate, il compito del vescovo con quel prete non è quello di rimproverare, ma quello di comprendere, di accompagnare. Così il parroco con i suoi fedeli e così i genitori con i loro figli: c’è tutto uno stile di paternità vissuta, fatta gustare, che diventa misericordia e dalla misericordia si fa gioia.
D. - Ecco, a questo proposito il Papa parla di un documento programmatico, dalle conseguenze importanti e esorta tutti ad applicarlo senza divieti né paure…
R. - Il rischio in questo momento con Papa Bergoglio - così soprendente - che è un rischio peggiore di altri, non è quello di contestarlo, ma è quello di ignorarlo! Di dire: “Lasciamolo dire, è bravo!”. Io faccio questo paragone: è come se all’improvviso nella partita della Chiesa italiana sia uscito Papa Benedetto, per particolari situazioni di difficoltà fisica, e sia entrato Bergoglio. Bergoglio sta scombinando tutto il gioco, sta facendo un sacco di goal e la Chiesa - la squadra - vince con lui. C’è il rischio, però, che poiché i goal li fa tutti lui, lasciamo fare solo lui. Questo è il rischio: che non giochiamo noi! Ed è questo l’appello pressante - lo si sente - quasi come dire: “Non lasciatemi solo! Il gioco non lo faccio io. Lo ho impostato, lo ho rilanciato, la squadra vince, ma vince se siamo compatti. Non basta che ci sia il goleador. Ci occorre una squadra d’insieme”. Ed è quello che appare benissimo da tutto il documento. www.radiovaticana.org